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Borsa italiana: Moncler il miglior titolo del trimestre, Saipem il peggiore

Il primo trimestre si chiude per gli indici di borsa di Milano con una perdita attorno al 15%. Tra i titoli il migliore è Moncler (+15%), la peggiore Saipem (-62%)
A cura di Luca Spoldi
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Ultima seduta di marzo che vede gli indici di Piazza Affari a perdere terreno, complice il nuovo recupero dell’euro risalito sino a 1,1411 contro dollaro prima di tirare leggermente il fiato, dopo che ieri sera la presidente della Federal Reserve, Janet Yellen, ha ribadito che i rialzi dei tassi ufficiali Usa saranno molto graduali, un segnale che il mercato ha letto come una conferma che non vi saranno più di due rialzi dello 0,25% l’uno nel corso del 2016. Una situazione che mette nuovamente sotto pressione la Bce dato che un euro “forte” contribuisce a mantenere basse le attese di futura inflazione (in marzo apparsa in calo dello 0,1% su base annua in Eurolandia, ovvero dello 0,2% in Italia) e dunque a smorzare l’effetto desiderato delle misure di politica monetaria “ultra rilassata” della stessa Bce.

Nel complesso, peraltro, marzo ha visto un ulteriore recupero del 2,5% circa degli indici azionari principali, che così hanno chiuso il primo trimestre del 2016 con una perdita “solo” del 15%. In realtà tra i singoli titoli del listino italiano si sono avuti risultati molto differenti a riprova che pur in una fase in cui le politiche delle banche centrali sembrano dominare i mercati, in realtà sono sempre i differenti impatti delle stesse sui vari settori e le differenti prospettive delle singole aziende al loro interno a portare alla formazione dei prezzi di borsa dei titoli delle varie società quotate.

Il migliore di tutti, ad esempio, è risultato Moncler, che in questi tre mesi ha guadagnato il 15%, avendo annunciato un bilancio 2015 caratterizzato da un fatturato in crescita del 27% su base annua a 880 milioni di euro (+19% a tassi costanti) e da un utile netto salito a 167,9 milioni (+29%). L’Ebitda adusted, ossia il risultato operativo normalizzato, è stato pari a 300 milioni di euro (era risultato pari a 232,9 milioni nel 2014), con un’incidenza sui ricavi salita al 34,1% (dal 33,5% del 2014). Come dire che il “made in Italy” di qualità continua a tirare anche in questa prima parte dell’anno, tanto è vero che su base geografica il fatturato è cresciuto del 28% in Asia e nel resto del mondo a tassi di cambio costanti, del 27% in America, del 13% in Europa, Medio Oriente e Africa (Emea) e solo del 5% in Italia.

Tutt’altra musica in casa Saipem, che con una perdita del 62% da inizio anno, sulla quale pesa il robusto aumento da 3,5 miliardi di euro sottoscritto solo parzialmente dal mercato (le banche che hanno partecipato al consorzio di collocamento dovrebbero tuttora avere un 6% circa di capitale, che probabilmente verrà ricollocato sul mercato appena sarà possibile), è la peggiore tra i titoli quotati a Piazza Affari di grande capitalizzazione. Anche per Saipem, come per Moncler, a pesare sono aspetti fondamentali oltre che finanziari, in particolare il taglio degli investimenti deciso da quasi tutti i produttori di petrolio in scia alla prolungata debolezza dei prezzi petroliferi.

Saipem, inoltre, chiude il mese a 35,4 centesimi per azione, vale a dire meno dei 36,20 centesimi pagati da chi, come le banche, ha voluto (o dovuto) sottoscrivere i nuovi titoli. Questo significa che l’operazione, che ha consentito alla capogruppo Eni di vedersi rimborsati prestiti infragruppo per 6 miliardi ma che ha finito con l’aumentare ulteriormente l’indebitamento della stessa Saipem, non ha convinto il mercato che non giudica opportuno che una società aumenti la leva finanziaria (appunto indebitandosi) in una fase di rallentamento dell’attività del suo settore. Un ragionamento assolutamente corretto e che di certo non poteva sfuggire al management di Eni (che da parte sua ha limitato le perdite nel trimestre a poco più del 2%) e di Cassa depositi e prestiti, da poco entrata nell’azionariato e già con una perdita che supera i 370 milioni di euro.

Se il buongiorno si vede dal mattino, proprio Cdp, che nelle intenzioni del governo dovrebbe trasformarsi in una sorta di “motore di sviluppo” incrementando il proprio portafoglio di partecipazioni in alcuni gruppi italiani operanti nel settore, certamente strategico, delle infrastrutture, potrebbe riservare i maggiori problemi in futuro, finendo con l’assomigliare più a una sorta di Iri del ventunesimo secolo che non a un grande “fondo sovrano”. Vero è che anche il governo inglese, finora di stretta osservanza liberista, starebbe pensando di intervenire rinazionalizzando “a tempo” alcuni asset ad esempio nella siderurgia, visto che il gruppo indiano Tata, che una decina d’anni fa aveva comprato le attività di British Steel per 12 miliardi di dollari, starebbe pensando di cederle, data la crisi del settore dell’acciaio.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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