Se cercate Jackson Hole su internet scoprirete che è la classica “ridente vallata” del Wyoming, divenuta negli anni una rinomata località sciistica statunitense. Non è però per le sue bellezze naturali che Jackson Hole è dal 1978 ben conosciuta dagli operatori finanziari di tutto il mondo: da tale anno, infatti, la Federal Reserve (la banca centrale americana) vi tiene il suo convegno annuale ed è dunque a Jackson Hole che molte delle più importanti decisioni di politica monetaria statunitense sono state analizzate o preannunciate.
Anche quest’anno Jackson Hole ha tenuto fede alla sua fama: per tutte le ultime tre settimane Wall Street e i principali mercati azionari mondiali hanno messo la “folle” e ad ogni rialzo o ribasso poco più che accentuato hanno fatto seguire movimenti di segno opposto nei giorni seguenti, così da mantenersi all’incirca sui livelli visti a inizio mese, per poi accelerare oggi che il presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke, ha dichiarato che la stagnazione del mercato del lavoro degli Stati Uniti crea “gravi preoccupazioni” e che la Fed è “pronta a utilizzare ulteriori programmi di quantitative easing se necessario per aiutare”.
Ora: non è che Bernanke abbia esattamente detto che riprenderà ad acquistare titoli di stato domattina, anzi si è ben guardato dal dare ulteriori indicazioni circa la volontà della Fed di passare concretamente all’azione, eppure le sue parole hanno rafforzato l’ipotesi di possibili nuovi acquisti di bond sul mercato, anche perché il banchiere nel suo discorso ha minimizzato i costi finora sostenuti e ribadito come il programma sia finora riuscito a “fornire un sostegno significativo” alla riprese economica Usa. Una ripresa che Bernanke ha definito “tiepida” e “lontana dall’essere soddisfacente”, per cui tenendo conto delle incertezze e dei limiti dei suoi strumenti di politica monetaria la Federal Reserve “garantirà una politica accomodante necessaria per promuovere una ripresa economica più solida e sostenere il miglioramento della condizioni del mercato del lavoro in un contesto di stabilità dei prezzi”, ha poi concluso Bernanke.
Parole che potrebbero trovare una sponda in Europa già la prossima settimana quando Mario Draghi riunirà il comitato monetario della Bce. Certo, difficilmente “super Mario” potrà lanciarsi in un programma di acquisti di titoli di stato dei PIIGS, visto che l’ostilità della Germania (ben rappresentata dal numero uno della Bundesbank, Jens Weidmann, che secondo la stampa tedesca avrebbe minacciato le proprie dimissioni in caso di un quantitative easing comunitario, per ritirarle solo dopo aver ricevuto rassicurazioni dalla cancelliera Angela Merkel che la posizione ufficiale tedesca contraria alla mutualizzazione del debito dei “porcellini” non cambierà) continua a nutrire nei confronti di tale soluzione, preferendo una gestione “virtousa” della crisi che passi per una serie di riforme strutturali in Grecia, Portogallo, Spagna e Italia (e Irlanda, dove le cose sembrano peraltro stare gradualmente migliorando).
Draghi potrebbe tuttavia ridurre nuovamente i tassi e, come Bernanke (che qualche operatore di borsa definisce abile come “una bella donna” a “fare vedere ai mercati l’oggetto del loro desiderio senza mai darglielo per davvero”), lasciar intendere di essere favorevole a ulteriori misure straordinaria in caso di necessità nelle prossime settimane o mesi. Guadagnando così ulteriore tempo mentre la politica (come sembra) prova a fare a sua volta qualche passo in avanti, come oggi in Spagna ha fatto il governo di Mariano Rajoy in tema di riforma del settore creditizio (col via libera alla “bad bank” che dovrà rilevare, non si sa ancora in base a quali valutazioni, gli asset “tossici” degli istituti iberici) e come potrebbe a breve fare la stessa Ue in materia di unione bancaria (Germania permettendo).