Berlusconi: i sondaggi lo danno in calo e lui rispolvera vecchi argomenti
Non è facile trarre conclusioni dai sondaggi che ci vengono proposti, riguardanti la fiducia degli elettori nel Premier o negli altri leader: inevitabilmente, non tutte le agenzie e non tutti gli studiosi forniscono medesimi dati o letture di questi. Tuttavia, se sembra impossibile stabilire criticamente, quanto sia in calo la popolarità di Silvio Berlusconi, è innegabile che questo calo ci sia stato.
Secondo l'Euromedia Research di Alesssandra Ghisleri, istituto di riferimento di Berlusconi, ad esempio, il centrodestra sarebbe ancora in vantaggio, tuttavia un vantaggio poco importante e con molti indecisi; i dati di Renato Mannheimer di Ispo, invece, evidenziano un distacco di ben 7 punti tra il leader del PD Pierluigi Bersani (36%) e Silvio Berlusconi (29%) nei consensi ottenuti dai capi coalizioni. In un caso o nell'altro, c'è qualche mutamento nella percezione che i cittadini hanno del loro Presidente: se, come riferisce Nando Pagnoncelli di Ipsos, il 60% degli italiani, ormai, ritiene che Berlusconi debba dimettersi, ecco che anche una parte dell'elettorato di centro destra sembrerebbe essere ormai imbarazzato e stanco dal leader fondatore del Pdl, auspicando la sua sostituzione nel ruolo di guida.
Almeno è quello che ci si augura, dopo le dichiarazioni di ieri al Congresso dei Cristiani Riformisti, in cui il Premier ha dato una grande prova di sé, tirando fuori argomenti vecchi e nuovi ma accomunati dal medesimo fondo di politica degli slogan unita al tentativo (un po' triste, oseremmo dire) di riavvicinarsi ad una Chiesa che, certamente, non può approvare la condotta del Premier, emersa dalle ultimi indagini inerenti il caso Ruby.
Quindi la scuola pubblica è diseducativa, in primo luogo, poiché gli insegnanti inculcano idee diverse da quelle delle famiglie. Gay e coppie di fatto, in Italia, non vedranno mai i propri diritti tutelati. E i comunisti sono ancora in agguato. Insomma, si riparte alla carica con discorsi che echeggiano la "discesa in campo" di 17 anni fa. Discorsi che hanno attirato critiche da tutti, a partire da Nichi Vendola per arrivare a Italo Bocchino, passando per Pier Ferdinando Casini e Pierluigi Bersani.
Discorsi aggressivi e retrogradi, senz'altro non al passo con un' Europa dai ben diversi orientamenti ma, soprattutto, ormai, banali ed inefficaci, volti a ristabilire una credibilità a colpi di accuse verso fantomatici "altri" (insegnanti, omosessuali, comunisti). Retorica priva di slanci e di modernità, ammuffita e anziana, ripiegata su sé stessa: senz'altro l'ultima cosa che un "governo del fare" dovrebbe proporre ai suoi elettori.
E questa credibilità tanto ricercata, fatica ad andare avanti, ci dicono i numeri, in ogni caso.