Il centrodestra ha vinto le elezioni. Il centrodestra è la prima forza politica del Paese. Quasi il 37 percento degli italiani ha premiato la proposta politica del centrodestra. Lo hanno ripetuto come un mantra gli esponenti di Forza Italia nella lunga notte delle elezioni politiche. E forse qualcuno avrà finito anche col crederci, con il convincersi che non fosse cambiato nulla, che si potesse ancora gestire gli alleati, come tutto sommato si è fatto in campagna elettorale.
La sensazione, però, è che quasi tutti abbiano ora ben chiaro ciò che è successo: Berlusconi ha perso il duello con Salvini, la Lega al 18% è un disastro per il progetto del Cavaliere, non c'è un leader unitario e spendibile e Forza Italia al 14% è peggio di quanto ci si aspettasse. La mettiamo noi ancora più semplice: Berlusconi è uno degli sconfitti alle elezioni del 4 marzo 2018.
Il problema non è solo aver perso il duello con Salvini. Il problema è averlo fatto senza che la coalizione abbia raggiunto la maggioranza dei seggi e senza che vi sia la minima possibilità di dar vita a un Governo di larghe intese facendo a meno dell’ingombrante alleato leghista, come è successo per una parte dell'ultima legislatura. A dirla tutta, la sensazione è che un governo di larghe intese non sia proprio possibile, considerata la ritrosia di Salvini e Meloni a prestarsi a inciuci piccoli o grandi che siano. E se andasse in porto lo scenario zero, ovvero Lega – M5s insieme, per Berlusconi e Forza Italia sarebbe un disastro totale.
Non candidabile, non eleggibile, interdetto dalle cariche pubbliche, deluso dai propri fedelissimi che gli avevano descritto un altro scenario e provato da una lunga e stancante campagna elettorale: insomma, per il Cavaliere il futuro è tutt’altro che roseo. E poi c’è sempre quella maledetta questione dell’orgoglio, che lo aveva portato a ributtarsi nella mischia, sperando di poter essere, se non il King maker, almeno il padre nobile del nuovo centrodestra.
Ora, invece, l’incantesimo si è rotto. Ma che fosse tutto un gioco d’inganni sembrava chiaro anche prima, almeno a chi volesse guardare oltre la pretesa “riberlusconizzazione del Paese”, che era una lettura tendenziosa e parziale della realtà, pompata all’inverosimile dai media e da chi aveva intenzione di creare il caso Berlusconi. Ve ne avevamo parlato, del trucco della riberlusconizzazione:
Uno dei politici più divisivi della storia repubblicana si è trasformato nello statista bonario che accetta le mediazioni e non minaccia rappresaglie; l’uomo che ha calpestato rituali e pratiche politiche si è riciclato nel politico che ha come unica bussola il senso di responsabilità per il Paese; il leader politico che ha stracciato il tessuto sociale italiano, azzoppandone il welfare e incentivando le contrapposizioni a tutti i livelli, si è trasfigurato nel nonno bonario che, in nome di un presunto buonsenso, ricompone le fratture della famiglia; l’imprenditore della paura è mutato nell'amico che rassicura; colui che ha portato post fascisti e secessionisti al governo del Paese è diventato tutto a un tratto invisibile quando si parla di razzismo, xenofobia, discriminazioni; l’uomo che per decenni ha fatto di sessismo e machismo quasi un vanto è ora pronto a diventare alfiere della parola rispetto (così come in tema di diritti civili si è scoperto "improvvisamente liberale").
Ma era, appunto, un trucco. E gli elettori non ci sono cascati.