Sui grandi giornali nazionali la vicenda Mps continua a tener banco e dopo che si è chiarito quanto costerà all’istituto aver aperto una serie di operazioni in derivati che sembrano aver fatto più male che bene (in tutto secondo l’amministratore delegato Fabrizio Viola si dovrebbero spesare, già sul bilancio 2012, 730 milioni di euro di rettifiche contabili) a tener banco è il ritornello se Rocca Salimbeni riuscirà a rimanere autonoma e “privata” o se sarà necessario accettare l’ingresso di nuovi soci o addirittura un matrimonio con qualche altro istituto, avendo come alternativa la nazionalizzazione dell’istituto medesimo vuoi tramite conversione in capitale dei 3,9 miliardi di euro (che coi relativi interessi possono facilmente salire a 5 miliardi tondi) di “Monti bond” che Mps si appresta a emettere, sia attraverso l’ingresso di fondi come Fsi (il Fondo strategico italiano controllato dalla Cdp, in cui il Tesoro è azionista al 70% e le fondazioni bancarie italiane al 30%) in grado di sottoscrivere anche per intero il futuro aumento da 1 miliardo di euro che il presidente Alessandro Profumo e lo stesso Viola si sono fatti autorizzare da qui a cinque anni dall’assemblea dei soci.
Simili discussioni non sembrano appassionare troppo gli italiani, ma sicuramente interessano da vicino poteri “forti” e “semi forti” della Repubblica. Non è infatti un mistero che in una fase di ristrettezza economica per la Fondazione Mps (cane da guardia del potere politico locale, come ogni fondazione) non è più possibile fare ulteriori sforzi e pertanto la quota del 37,5% ancora posseduta nel capitale del Montepaschi è destinata in ogni caso a ridursi, vuoi per l’effetto diluitivo dei futuri interventi sul capitale sociale vuoi per l’eventuale cessione di ulteriori pacchetti di titoli sul mercato. Nazionalizzare l’istituto sposterebbe invece il controllo da un livello locale a un ambito nazionale, ma non modificherebbe sostanzialmente la stretta dipendenza della banca dai palazzi della politica. Così come non ha modificato tale “incestuoso” rapporto la riforma Amato-Ciampi che dal 1990 ha prima dato vita alle Fondazioni separandole formalmente dalle banche controllate dalle stesse, poi via via spostato l’ambito di attività delle prime nel settore no-profit, attribuendo più propriamente una finalità profit alle seconde.
Tutto questo ad una “normale” impresa o famiglia italiana, che non può vantare “referenze” politiche di alcun tipo non interessa molto, né è dei molto conforto notare come anche il settore privato propriamente detto non sembri aver saputo fare meglio che mantenere il controllo di gruppi industriali di primaria grandezza come Fiat o Pirelli attraverso lunghe catene societarie il cui scopo finale è quello di diluire l’impegno richiesto all’azionista di maggioranza relativa (di solito con una quota pari o inferiore alla soglia del 30% del capitale, oltre la quale scatterebbe per un eventuale scalatore “ostile” l’obbligo di lancio di un’Opa), favorendo semmai nel caso di Lbo e operazioni a leva con cui il controllo fosse stato ottenuto (come nel caso di Seat Pagine Gialle) un flusso di dividendi costante dai piani “bassi” ai piani “alti” della catena, che mantiene il debito (o lo fa calare meno rapidamente di quanto altrimenti possibile) ai livelli inferiori della catena medesima.
A imprese e famiglie continua infatti a importare di più, giustamente, le condizioni di accesso (o meno) al credito. A dicembre, ha segnalato l’ultimo Bollettino Statistico di Via Nazionale, i prestiti alle prime sono calati del 2,2% su base annua (dal -3,4% segnato a fine novembre), mentre nel caso delle famiglie il calo è risultato pari allo 0,5% contro il -0,3% del mese precedente. Unica consolazione, nell’ultimo mese del 2012 sono calati anche i tassi applicati dalle banche sui nuovi prestiti alle famiglie per i mutui casa, scesi in media i al 3,92% contro il 4,05% di novembre. Sempre che riusciate a trovare una banca pronta a erogarvelo il mutuo, ovviamente.
Se la cosa vi può incuriosire, sappiate comunque che secondo gli analisti di Mediobanca potrebbe essere Bnl-Mps il matrimonio ideale, visto che la banca romana, finita nel 2005 sotto il controllo di Bnp Paribas, è tuttora troppo piccola per incidere significativamente sui conti della capogruppo. Il che potrebbe portare l’azionista di controllo a cercare o un’uscita o il modo di crescere. In entrambi i casi Siena per dimensioni, tipologia di attività in essere e rete distributiva sembrerebbe il soggetto più adatto con cui aggregarsi, se non fosse che in Italia queste considerazioni di natura “industriale” hanno quasi sempre ceduto il passo a considerazioni “politiche” attinenti al controllo delle singole banche (o aziende) e alle prebende da distribuire agli azionisti principali e ai loro rappresentanti. Considerazioni che potrebbero far propendere per un ingresso di fondi d’investimento pronti a scommettere su un rilancio a medio termine dell'attività del gruppo.
Così per alcuni osservatori Profumo e Viola, che stanno anche cercando come e quando vendere attività non più strategiche e tagliare il personale e le filiali in eccesso, potrebbero iniziare a fare la spola tra Siena e Londra, per trovare nuovi investitori finanziari di lungo periodo pronti a sborsare dai 100 ai 200 milioni di euro a testa per mettersi qualche milionata di titoli Mps in portafoglio, sulla falsariga di quanto fatto già dalle grandi banche americane all’indomani dell’esplosione della crisi finanziaria seguita al crack di Lehman Brothes nell’ottobre 2008. Come si dice in questi casi: chi vivrà vedrà (come andrà a finire nei prossimi mesi).