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Opinioni

Banche ancora a picco in borsa: occorre ripensare il modo di fare business

Mps a picco, in compagnia di Bper, Bpm e Banco Popolare, tutti in calo tra il 16% e il 10% in borsa a fine giornata. Il problema è che in assenza di soluzioni strutturali le banche italiane restano troppo poco redditizie ed esposte alle incertezze della congiuntura. Serve cambiare il modo di fare business ma non sarà facile…
A cura di Luca Spoldi
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I dubbi sul piano di Mps che ieri gli investitori sembravano voler mantenere sospesi in attesa di capire meglio i dettagli dell’operazione si sono materializzati oggi in cospicui ordini di vendita, complici anche alcune notizie poco confortanti per il settore a livello europeo. Così a fine giornata l’istituto senese, che ieri era arrivato a segnare +9% prima di chiudere in rialzo di poco più di mezzo punto, oggi cede di schianto il 16,1% vedendo scendere la capitalizzazione a soli 951 milioni di euro.

Un controvalore che rappresenta meno di un quinto del prospettato aumento da massimi 5 miliardi che da solo polverizzerà il residuo investimento di azionisti “storici” come Fondazione Montepaschi (che già ha fatto sapere di non voler partecipare alla ricapitalizzazione, attesa a fine anno). Non solo: in una intervista a Reuters Alberto Oliveti, presidente dell’associazione delle casse di previdenza (Adepp) oltre che dell’Enpam (ente di categoria di medici e odontoiatri), ha fatto notare come il prezzo proposto per la cessione delle sofferenze della banca senese, il 33% del valore lordo di libro, potrebbe essere (eufemismo) troppo elevato.

I miei tecnici mi dicono che al 33% non c’è possibilità di redditività” ha spiegato Oliveti e c’è da credergli: il 33% è infatti il valore netto al quale gli asset che saranno ceduti (27,7 miliardi di sofferenze lorde) saranno portati alzando la copertura sugli stessi dal 62% al 67%. Problema: se il venditore è convinto che ciò che vende vale esattamente il prezzo di vendita, come può l’acquirente sperare di ottenere l’auspicato 6% di rendimento ritenuto “compatibile” dal top management di Mps con tali valutazioni?

Mistero, ma dato che le Casse previdenziali hanno quasi 80 miliardi, “che però non sono risparmi ma i contributi obbligatori per la pensione” è necessario che le stesse abbiano “una legittima e ragionevole aspettativa di redditività”. Il guaio è che se le casse non sottoscriveranno le quote del fondo Atlante 2 il patrimonio che questo potrà investire non andrà verosimilmente molto oltre gli 1,6 miliardi necessari ad acquistare la tranche “mezzanina” che assieme agli altri 1,6 miliardi di tranche “equity junior” riservata agli azionisti di Mps e ai 6 miliardi di tranche senior dovrebbe costituire la cartolarizzazione delle sofferenze di Mps.

Il re è nudo: come il fondo Atlante è nato ufficialmente per evitare che una qualsiasi banca italiana dovesse finire in “bail in” ma in pratica per salvare due istituti, BpVi e Veneto Banca, così Atlante 2 nasce col commendevole scopo di favorire l’ampliamento del mercato degli Npl (che in verità sta crescendo di suo, come dimostrano gli acquisti per 2,3 miliardi di euro di valore lordo di libro effettuati da inizio anno da Banca Ifis, che da sola gestisce ormai oltre un milione di posizioni e circa 10 miliardi di Npl a valori lordi di libro) ma in pratica riuscirà, al meglio, a risolvere i problemi di Mps.

Il tutto continuando a pesare sulla parte sana del sistema, ossia le banche con meno crediti deteriorate, le assicurazioni, CdP (che rischia di ritrovarsi con un “track record” a dir poco sfortunato tra alcuni anni, investendo in Alitalia, Saipem e Npl vari a prezzi che puntualmente si scoprono poi essere stati troppo elevati) e casse previdenziali. Lo schema dovrebbe far venire qualche brivido a un “buon padre di famiglia”, ma evidentemente non lo fa venire al governo, che forse conosce la reale situazione del settore creditizio italiano meglio di quanto la conosca il mercato e l’opinione pubblica.

A buttare ulteriore benzina sul fuoco sono intervenute oggi alcune deludenti note dall’Europa. Ad esempio Credit Suisse e Deutsche Bank, da lunedì prossimo, non faranno più parte dell’indice Stoxx Europe 50, avendo entrambe ceduto oltre il 50% del proprio valore negli ultimi 12 mesi. Ma a dimezzare o poco meno le proprie quotazioni sono stati molti altri nomi del credito europeo: da Commerzbank, che sempre oggi ha lanciato un allarme sugli utili e ricavi da qui a fine anno, a Bank of Ireland, da Bbva al Banco Santander, da Barclays a Royal Bank of Scotland, tanto che chi come Societe Generale, Hsbc o Nordea Bank ha perso “solo” un terzo del proprio valore o meno viene visto come un’eccezione positiva.

In Italia di eccezioni positive non se ne vedono e questo dovrebbe essere un altro motivo di riflessione sulla salute del settore, che necessita di ulteriori rafforzamenti di capitale ma soprattutto di trovare il modo di tornare a recuperare una redditività storicamente modesta ma che la politica dei tassi “sotto zero” attuata dalla Bce per cercare di sconfiggere la deflazione e stimolare la ripresa ha definitivamente affondato. Così sui 12 mesi Credem che con Intesa Sanpaolo è tra i migliori istituti europei quanto a qualità del credito sfiora il -29%, la stessa Intesa Sanpaolo cede il 44%, Popolare Sondrio segna -51%.

Tolti questi tre istituti, che pure non brillano, per gli altri è notte fonda almeno borsisticamente: Bper in un anno ha perso il 61% del suo valore, come pure Bpm, Ubi Banca pur tenendosi lontana da Mps ha ceduto il 66%, Unicredit, di cui si continua a prevedere un aumento tra i 4,5 e gli 8,5 miliardi di euro entro l’anno, è sul -68%, Creval è a livelli inferiori del 71,5% rispetto a un anno fa e Banco Popolare, pur avendo raccolto un miliardo di aumento di capitale è a -81%.

Per sostenere la redditività dei nostri istituti senza passare per l’ennesimo rialzo dei costi per la clientela servirà ripensare la funzione del credito, l’organizzazione del settore, il modello di business delle singole aziende bancarie. La foresta pietrificata deve tornare a nascere o resterà solo un ricordo fossile di un’era ormai scomparsa, piaccia o non piaccia al “palazzo”.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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