Gli aumenti di capitale sono decisamente indigesti in questo periodo a Piazza Affari, anche se rafforzare il capitale resta una delle poche strade praticabili per far sviluppare un’azienda specie nell’ex “bel paese” dove le dimensioni delle aziende, piccole, medie o grandi che siano, sono solitamente inferiori a quelle dei concorrenti diretti. Eppure la sola ipotesi di un aumento di capitale ha fatto (più volte) crollare Saipem, che in particolare oggi ha chiuso a 9,785 euro (-7,08%) per il diffondersi di voci che danno Eni intenzionata a cedere una quota, si dice il 20%, della controllata (i cui vertici hanno visto di recente l’uscita di scena di Umberto Vergine, tornato a ricoprire il ruolo di responsabile dell’attività di import del gas in Italia come nel 2011, e la nomina ad amministratore delegato di Stefano Cao) al Fondo strategico italiano (Fsi), controllato all’80% da Cassa depositi e prestiti (il rimanente 20% è posseduto dalla Banca d’Italia).
Operazione che il numero uno di Eni, Claudio Descalzi, non ha voluto commentare ma che, ove confermata in futuro, sembrerebbe propedeutica al lancio di un corposo aumento di capitale di cui il mercato parla da settimane e che potrebbe avvenire il prossimo autunno. Sempre secondo le indiscrezioni di borsa Fsi sarebbe pronto a pagare la quota tra gli 800 milioni e il miliardo di euro, valutando dunque Saipem tra i 4 e i 5 miliardi a fronte di una capitalizzazione che stasera è scesa a poco più di 4,6 miliardi, quasi il 47% in meno di un anno fa. L’operazione porterebbe Eni a scendere dal 42,9% a circa il 23%, de consolidando dunque Saipem, ma non sarebbe finita qui.
Su Saipem gravano ad oggi circa 4,6 miliardi di euro di indebitamento netto ed ecco che a quel punto un aumento di capitale da 1,5-2,5 miliardi (tra un terzo e metà della capitalizzazione di borsa) sarebbe sia affrontabile da Eni (che staccherebbe un assegno tra i 345 e i 575 milioni al massimo, ossia circa la metà di quanto incasserebbe dalla cessione) sia utile a riequilibrare la struttura di capitale di Saipem, magari anche in vista di un ulteriore ingresso di qualche partner industriale estero a medio termine. Nel dubbio se questo significhi o meno ulteriori possibilità di crescita e di utili anche per gli azionisti di minoranza, la borsa ha preferito scaricare come detto il titolo.
Chi invece ha tirato un sospiro di sollievo dopo diverse sedute problematiche è stato Mps: nell’ultimo anno Siena ha bruciato il 72% del proprio valore in borsa vedendo scendere nuovamente la propria capitalizzazione a meno di 5 miliardi. Per questo (e per ottemperare alle precise richieste della Bce di Mario Draghi) è stato lanciato un nuovo aumento di capitale da 3 miliardi di euro, coi quali si rimborseranno tra l’altro i residui (e onerosi) “Monti bond”. Ebbene, scaduto ieri il termine per la compravendita dei diritti (che saranno esercitabili sino al 12 giugno) in borsa, il titolo ha chiuso in rialzo del 3,47% chiudendo a 1,82 euro per azione e risultando la migliore “blue chip” del listino italiano.
Esattamente l’opposto di quanto accaduto a Banca Carige, a sua volta da lunedì alle prese con un aumento di capitale da 850 milioni di euro resosi necessario per rafforzare i coefficienti patrimoniali della banca come richiesto dalla Bce. Al termine del secondo giorno di trattazione dei diritti per partecipare all’operazione il titolo ordinario ha chiuso in calo del 5% a 1,667 euro per azione, mentre i diritti hanno ceduto un ulteriore 2,17% chiudendo a 3,16 euro. Tenete presente che venerdì sera il titolo Banca Carige aveva chiuso a 5,60 euro per azione ordinaria, dunque chi non ha venduto e ha ancora in mano titoli e diritti sconta una perdita di valore complessiva del 13,8% (77,3 centesimi di perdita per ogni azione+diritto).
Decisamente volatile anche Aedes, società immobiliare partecipata dalla famiglia Roveda, dal gruppo Amenduni e dal fondo Sator di Fabio Arpe (ma tra i soci sono presenti anche il gruppo Gavio e alcune banche creditrici cui capo una quota complessiva del 6%), passata per una severa ristrutturazione a sua volta impegnata da ieri in un aumento da 40 milioni di euro su 71 milioni di capitalizzazione. Dopo essere stato sospeso per buona parte della seduta il titolo ha chiuso a 83 centesimi per azione (+14,25%), contro gli 1,995 euro del prezzo di chiusura di venerdì scorso prima dello stacco dei diritti. Questi ultimi, a loro volta sospesi, ma al ribasso, hanno poi chiuso a 0,93 euro l’uno (-5,1%). Anche in questo caso dunque il bilancio provvisorio per chi non ha venduto i titoli prima della partenza dell’operazione è negativo: -11,77% (23,5 centesimi di perdita per ogni azione+diritto).
Insomma: Piazza Affari per il momento non si lascia incantare dagli sconti “robusti” con cui sono state varate operazioni di ricapitalizzazione che del resto hanno richiesto al mercato uno sforzo altrettanto consistente in rapporto ai mezzi di cui dispongono al momento le società in questione. Su ciascuna operazione incidono le differenti storie passate e le prospettive presenti e future, nonché la presenza di manager più o meno graditi agli investitori. Probabilmente anche la scelta di andare a batter cassa poco prima dei versamenti fiscali di giugno (secondo i calcoli della Cgia di Mestre tra Imu, Tasi, Irpef, addizionali sulle persone fisiche, Irap, Ires, Iva e Tari, famiglie e imprese italiane saranno alleggerite di oltre 56 miliardi di euro entro il 16 giugno) non è stata delle più felici.
Sta di fatto però che la debole ripresina italiana rischia di arenarsi subito su uno scoglio, quello della carenza di capitali, tra banche ancora poco inclini a riaprire i rubinetti del credito e famiglie e imprese che con difficoltà riescono a reperire i mezzi necessari. O semplicemente nessuno ancora, tra banche, imprese e famiglie, se la sente di scommettere sulla ripresa e preferisce tenere i soldi sui conti correnti anche a interessi zero o negativi (o preferisce puntare su nuovi business all'estero, come fa Exor cercando di mettere le mani su PartnerRe prima che rafforzare il capitale di Fiat Chrysler Automobiles), segnale che non si può certo definire incoraggiante.