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Cambiamenti climatici

Votando contro la Nature Restoration Law l’Italia sta segando il ramo su cui è seduta

L’Italia vota contro la legge per il ripristino degli habitat naturali, per salvaguardare gli interesse immediati delle lobby di pesca, agricoltura e industria del legno. Ma “riparare” la natura come vuole il Nature Restoration Law dell’Unione Europea aiuta anche l’economia, oltre a proteggere gli ecosistemi e aiutare la riconversione ecologica.
A cura di Fabio Deotto
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Ormai la linea è chiara: di fronte alla possibilità di salvaguardare una ricchezza naturale concreta a parziale discapito di una ricchezza monetaria astratta, il governo italiano si barrica a difendere la seconda; come se questa potesse essere del tutto indipendente dalla prima. Può sembrare una semplificazione capziosa, ma a ben guardare è esattamente quello che sta succedendo in questi giorni con una misura cruciale nell’ottica di una transizione ecologica effettiva e da cui il nostro Paese trarrebbe enormi benefici.

Martedì 20 giugno, a Lussemburgo, il Consiglio Affari Energia dell’UE ha suggellato il primo, fondamentale accordo per il varo della Nature Restoration Law, una legge che punta ad avviare un progressivo ripristino degli habitat degradati sul territorio europeo. L’accordo è stato raggiunto grazie al voto favorevole di 21 stati; altri 7 invece hanno votato contro: Austria, Belgio, Finlandia, Paesi Bassi, Polonia, Svezia e, appunto, l’Italia.

Il nostro paese è uno dei più ricchi, in termini di biodiversità (il nostro territorio ospita metà di tutte le specie vegetali europee e un terzo quelle animali), ma è anche uno dei più fragili e degradati. Basti pensare che, stando all’ultimo report WWF, l’89% degli habitat italiani versa oggi in un cattivo stato di conservazione, il 68% degli ecosistemi si trova in pericolo e il 35% in una condizione di rischio ormai critica.

La situazione nel resto dell’UE non è tanto più rosea, eppure diversi paesi si stanno attivamente opponendo a una misura ragionevole e tutt’altro che proibitiva. Per capire cosa stia succedendo, è il caso di andare con ordine.

Cos’è la Nature Restoration Law e perché è importante

La proposta di legge che a luglio verrà presa in esame dal Parlamento Europeo stabilisce entro il 2030 un ripristino degli habitat naturali per un’estensione che corrisponda al 20% delle terre emerse e al 20% degli ambienti acquatici. Questo obiettivo è corredato da una serie di indicazioni su come questo ripristino dovrebbe avvenire: si parla, ad esempio, di limitare la perdita di aree verdi a favore dell’espansione urbana, di ripristino dei prati erbosi e delle torbiere (fondamentali per il sequesto di anidride carbonica), di inversione del declino nel numero di insetti impollinatori, di ripristino della biodiversità vegetale oggi assediata dall’agricoltura intensiva, etc.

Quelle che potrebbero sembrare misure ispirate da principi etici, sono in realtà misure che hanno innanzitutto un’utilità pratica, dal momento che oggi l’Unione Europea, come molte altre zone del globo, versa in una condizione di progressivo degrado che pone a rischio non solo la sopravvivenza di alcune specie animali e vegetali, ma anche quegli stessi settori produttivi ed economici in nome dei quali spesso poniamo un freno a misure di conservazione e ripristino.

Per rendersene conto basta dare una scorsa al report State of Nature in the EU da cui appare chiaro come la stragrande maggioranza degli habitat naturali europei (parliamo di oltre l’80%) siano pesantemente compromessi per colpa delle attività umane e della progressiva antropizzazione del suolo. Ma anche senza far scivolare l’indice su colonne di dati, è sufficiente ripensare alla situazione dei nostri fiumi, a quel dissesto idrogeologico che a maggio si è mostrato in tutta la sua pericolosità: tra le misure necessarie a prevenire disastri come quello che sta straziando l’Emilia Romagna, spicca il ripristino dei corsi fluviali oggi limitati o deviati per via dell’attività umana.

Una coperta che non si vuole allargare

“La proposta di regolamento per il ripristino della natura non assicura un adeguato bilanciamento tra obiettivi, fattibilità e rischi: non possiamo permetterci che non sia applicabile, efficace e sostenibile da tutte le categorie interessate, tra cui agricoltura e pesca.”.

È quanto si legge sul sito del MASE, una spiegazione che lascia poco spazio alle interpretazioni: se l’UE vuole il voto italiano su un provvedimento simile, dovrà assicurare che specifici settori produttivi non vengano troppo intaccati. Non fosse che, nello stesso comunicato, compare anche un’apertura a misure di questo genere.

“Anche l’Italia – ha dichiarato Pichetto Fratin – ritiene che il regolamento sia uno strumento cruciale per arrestare la perdita di biodiversità e affrontare il cambiamento climatico con il suo impatto su società ed economia”, per poi aggiungere: “ci siamo impegnati nel negoziato perché il testo, nel rispetto della portata innovatrice del regolamento, possa essere efficace ed attuabile, garantendo la necessaria flessibilità agli Stati membri”.

Tecnicamente, dunque, il Governo italiano non solo riconosce l’importanza di leggi come questa per la lotta al cambiamento climatico, ma riconosce (almeno a parole) anche l’impatto che l’emergenza climatica sta avendo a livello trasversale. L’impressione però è che, ancora una volta, sfugga il quadro di insieme sul medio e lungo termine. La dichiarata volontà di salvaguardare i settori pesca e agricoltura, come la tanto sbandierata preoccupazione per la sovranità alimentare, lasciano intuire che al Ministero si pensi che una misura di ripristino degli habitat naturali andrebbe a togliere un lembo di coperta da una zona per spostarlo su un’altra, mentre a conti fatti la Nature Restoration Law ha proprio l’obiettivo di aumentare le dimensioni di quella coperta, o quantomeno evitare che si riduca ulteriormente.

Prendiamo ad esempio le misure per l’inversione del declino nel numero di insetti impollinatori: stando al rapporto UE sopracitato quasi 5 miliardi di euro della produzione agricola annuale europea sono direttamente attribuiti agli insetti impollinatori. Salvaguardare queste specie, dunque, significa salvaguardare l’intero settore agricolo. Non è un caso che quasi la metà (il 46%) degli habitat agricoli dell’UE versino oggi in “uno stato di conservazione pessimo”.

Una legge di questo tipo, quindi, dovrebbe apparire a chiunque come palesemente vantaggiosa, sotto innumerevoli punti di vista. Allora perché una simile presa di posizione da parte dell’Italia e di altri cinque paesi UE?

Puntellare lo status quo

Prima che il Consiglio dei ministri dell’ambiente si pronunciasse positivamente sulla Nature Restoration Law, in Commissione Europea, lo scorso 15 giugno, si era consumato un braccio di ferro estenuante tra quanti spingevano perché questo storico provvedimento venisse messo sui binari giusti, e il Partito Popolare Europeo (oggi maggioranza nel Parlamento UE), che aveva proposto una mozione per bocciare in toto il testo di legge. Nonostante le pressioni di buona parte della destra europea, e delle lobby di pesca, agricoltura e industria del legno, il voto in Commissione ambiente si è incastrato in un pareggio (44 a favore e 44 contro), e la mozione non è passata.

Il fatto stesso che su un provvedimento così importante ci sia un’opposizione di questo tipo è però una spia preoccupante, soprattutto in vista del voto al Parlamento UE previsto per luglio. Il punto è che sul tavolo non c’è solamente una proposta di legge: a essere messo in discussione è un intero paradigma di sviluppo che per decenni è rimasto sostanzialmente immutato. Se l’obbiettivo a breve termine della Nature Restoration Law è il ripristino del 20% degli habitat totali, sul medio termine (2040) si richiede che ogni stato membro adotti misure per riportare in buone condizioni il 60% di ogni singolo habitat compromesso, mentre sul lungo termine si arriva al 90%. Perché ciò sia possibile è necessario rinnovare, e in alcuni casi ripensare, intere filiere; in sostanza: bisogna andare a dar noia a chi finora ha macinato profitti a discapito degli habitat naturali senza troppe limitazioni.

L’idea che il ripristino degli habitat naturali possa interferire anche solo marginalmente con il sistema economico e produttivo per alcuni equivale a una blasfemia. E poco conta che senza misure di questo tipo quello stesso sistema economico sia destinato al collasso; poco conta che la legge vada a creare benefici sia per la sostenibilità ambientale che per quella economica del sistema-Europa; poco conta che il ripristino delle aree degradate, oltre a tutelare la biodiversità, renderà più semplice il processo di decarbonizzazione che per forza di cose l’UE deve perseguire; ancora una volta, la destra europea (e quella italiana in primis), sembra intenzionata a puntellare lo status quo, a costo di vederselo crollare addosso.

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Fabio Deotto è scrittore e giornalista. Laureato in biotecnologie, scrive articoli e approfondimenti per riviste nazionali e internazionali, concentrandosi in particolare sull’intersezione tra scienza e cultura. Ha pubblicato i romanzi Condominio R39 (Einaudi, 2014), Un attimo prima (Einaudi, 2017) e il saggio-reportage sul cambiamento climatico “L’altro mondo” (Bompiani, 2021).  Insegna scrittura creativa alla Scuola Holden di Torino. Vive e lavora a Milano.
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