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“Volevano punirmi per le mie inchieste sulla Questura”. Parla il giornalista fermato dalla polizia a Cosenza

Gabriele Carchidi, il giornalista calabrese fermato sabato dalla polizia di Cosenza, racconta a Fanpage.it la sua versione: “È stato un avvertimento per le mie inchieste sulla Questura. In caserma mi hanno detto: ‘Io sono il capo pattuglia della Squadra Volante e tu sei un diffamatore'”. E accusa: “Mi è stato teso un agguato”.
A cura di Davide Falcioni
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"Stavo solo facendo una passeggiata a piedi per fare un po' di attività fisica. Scendevo da Castrolibero, un Paese alla periferie di Cosenza, sulla via degli Stadi. Io abito lì: percorro quella strada ogni santo giorno. Mi conoscono tutti perché ho 60 anni e da 40 faccio il giornalista. Ho lavorato anche in tv e in radio. A Cosenza anche le pietre sanno chi sono, e ovviamente lo sanno tutti anche in Questura perché mi sono già occupato a lungo anche di loro". Inizia così il racconto di Gabriele Carchidi, il giornalista calabrese – direttore del giornale online Iaccichè – fermato nel pomeriggio di sabato 22 marzo da una volante della polizia e poi immobilizzato con forza da quattro agenti dopo il rifiuto di esibire un documento d'identità; il fermo è stato documentato con un video girato da un testimone e le modalità adottate dagli agenti hanno suscitato sconcerto e indignazione.

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Ma facciamo un passo indietro. Carchidi sta camminando quando viene incrociato da una volante della polizia sulla via degli Stadi, a Cosenza. L'agente alla guida ferma l'auto e insieme al collega – un uomo – i due interrompono la passeggiata del giornalista. "Mi chiedono i documenti. Rispondo: ‘E perché mai dovrei darvi i miei documenti? Cosa ho fatto di male? Sto semplicemente facendo una camminata'. Apriti cielo: il poliziotto mi strattona, poi mi sbatte contro l'auto, mentre la sua collega chiama un'altra volante, che arriva immediatamente a sirene spiegate. Io non alzo un dito, visto quello che sta accadendo penso anche che gli mostrerò subito la mia carta d'identità senza problemi, ma non mi danno neanche tempo e modo di farlo. Iniziano a picchiarmi, io mi proteggo come posso poi vengo caricato e trasportato in caserma. Per fortuna qualcuno, che non finirò mai di ringraziare, ha documentato tutto dal balcone di una casa con il cellulare. Guardate quelle immagini. Sembra di vedere i poliziotti americani che nel 2020 uccisero George Floyd a Minneapolis".

Gabriele Carchidi sa che il rifiuto di esibire i documenti costituisce un reato, ma è convinto di essere stato vittima di "un agguato" – così lo definisce – da parte della Questura. Per quale motivo? Da tempo Iaccichè pubblica dure accuse alla polizia di Cosenza. Il suo giornale ha raccontato della presunta e misteriosa sparizione di cocaina sequestrata agli spacciatori dai locali della Questura, della presunta scomparsa di denaro sottratto ai parcheggiatori abusivi dal cassetto di un dirigente di polizia. "Abbiamo parlato anche dei furti negli uffici. Abbiamo scritto  di poliziotti che ricattavano il capo della Mobile, e molto altro", spiega.

Insomma, secondo Carchidi il fermo di sabato sarebbe stato un vero e proprio avvertimento, un invito a tacere di presunti reati commessi da alcuni poliziotti cosentini. "Infatti, una volta arrivato in caserma, chiedo perché mai mi avessero fermato. A quel punto un dirigente mi risponde: ‘Io sono il capo pattuglia della Squadra Volante e tu sei un diffamatore'. Insomma, se mi consideravano un diffamatore per le mie inchieste evidentemente sapevano benissimo chi sono. Volevano punirmi. Ma la mia colpa è solo quella di raccontare un sistema malato, che in Calabria riguarda un vasto sistema politico ed economico e non risparmia neanche alcuni poliziotti".

Per essersi rifiutato di esibire il suo documento d'identità Carchidi rischia fino a un mese di reclusione. Il giornalista, però, è accusato anche di resistenza a pubblico ufficiale, reato ben più grave. "Ma io non li ho neanche sfiorati, mi sono fatto sbattere contro la volante e non ho opposto nessuna resistenza, non ho alzato un dito e per fortuna c'è un video che lo dimostra. Non mi sono neanche fatto refertare al Pronto Soccorso per le botte che mi hanno dato. Ripeto: credo che quello della polizia sia stato un ‘agguato', credo che loro sapessero benissimo che io ogni giorno passo a piedi su via degli Stadi, e sono certo che loro mi conoscano benissimo. D'altro canto non potrebbe essere altrimenti, visto il lavoro che svolgo da decenni in città e viste le mie inchieste giornalistiche, anche sulla Questura".

L'accusa alla polizia di avergli teso un "agguato" è di quelle gravi e andrà provata in sede giudiziaria. Cosa che Carchidi annuncia che farà presto: "Li  vado a denunciare per abuso di potere, per aggressione, per tutto quello che mi hanno fatto. E vedremo se il Tribunale deciderà di archiviare tutto".

La nota della Questura: "Carchidi aveva rifiutato di declinare le sue generalità"

Sula vicenda è stata diramata una nota da parte della Questura. "In riferimento alle notizie di stampa circa un servizio di controllo del territorio di sabato scorso nel quartiere ‘San Vito', si precisa che, nell'ambito dell'attività effettuata, il personale dell'Ufficio volanti ha ritenuto di identificare un cittadino che, assumendo una posizione ostile, rifiutava di declinare le proprie generalità". "La resistenza opposta dalla persona oggetto del controllo – si aggiunge nel comunicato – ha reso necessario utilizzare le standardizzate procedure di contenimento per accompagnare il soggetto in Questura al fine di completare l'accertamento. Tutti gli atti redatti dal personale operante, compreso il materiale video pubblicato dall'interessato, sono stati già trasmessi alla Procura della Repubblica per consentire una compiuta ed esaustiva ricostruzione dei fatti".

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