Il progetto di un viaggio per festeggiare la vicina laurea in legge, per Filippo Guarracino, trentenne universitario della Napoli bene, si materializza nella primavera del 2004. Filippo e Mina, la sorella, anche lei studentessa in legge, si rivolgono al Cts, l'agenzia convenzionata con l'università, ma alla fine Mina rinuncia per restare a Napoli a lavorare e così il solo Filippo si imbarca in quell'avventura: destinazione Messico. È mercoledì 10 marzo quando il giovane universitario mette piede a ‘Las Golondrinas’, piccolo hotel a Playa del Carmen che il Cts, che si è occupato di tutti i dettagli del viaggio, compresa la scelta della destinazione, ha prenotato. Purtroppo per lui, i guai non si fanno attendere: due giorni dopo Filippo chiama gli amici in Italia per raccontargli che è stato trattenuto in cella dalla polizia e multato per la somma di 500 euro, perché stava ‘camminando accanto ai veicoli’. Una banalissima infrazione stradale che in quei territori, come diventerà presto chiaro, può costare molto cara.
Filippo non dice tutto ai suoi amici, ha paura. In particolare, è spaventato perché qualcuno ha fatto irruzione nella sua stanza d'hotel e gli ha portato via i soldi e il passaporto. Pur senza comprendere bene i contorni della situazione, sua sorella Mina intuisce il pericolo che suo fratello non riesce o non può esplicitare e allerta il Ministero degli Esteri. Intanto Filippo si rifugia nel vicino aeroporto di Cancun, da dove chiede l’aiuto del Ministero degli Esteri della ambasciata e del consolato italiano in Messico. Ancora una volta, però, si imbatte nella polizia che questa volta gli prende 500 euro, ma non lo lascia andare. Dall’Italia partono telefonate febbrili al consolato perché interceda a favore del concittadino e alla fine è il console onorario di Cancun, Augusto Pastaccini D’Addario, a presentarsi di persona all'aeroporto per risolvere quella situazione. Per tornare in Italia occorrono nuovi documenti, spiega, nel frattempo Filippo resterà alla sede del consolato italiano, nell’hotel di Pastaccini: “Voglio che si faccia un’idea positiva di Cancun” argomenta il console che per la pratica di rimpatrio chiede altri 1000 euro. Sono ormai passati cinque giorni, Filippo spera di tornare presto a casa quando il diplomatico gli chiede di andare nuovamente in commissariato a ratificare la denuncia di furto.
Se i cattivi hanno la divisa
Filippo si sente perduto. “Come faccio a dire che è stata la polizia a derubarmi?” confessa a Mina. Ventiquattr’ore dopo essere stato al posto di polizia, richiama a Napoli, ancora una volta parla con la sorella: “Mina – capiscimi – i poliziotti sono tornati (in albergo, ndr), li ho visti parlare con il console, non posso dire altro, le telefonate sono registrate. Se non torno in Italia mi uccidono qui”. Le successive 24 ore finiscono in un buco nero, dal consolato nessuno sa dire dove sia Filippo, né dove sia il console finché, non è lo stesso Pastaccini a spezzare il silenzio. Guarracino, comunica Pastaccini, è ricoverato in ospedale a seguito di un’aggressione a scopo di rapina. Ormai l’angoscia è altissima e per la famiglia napoletana il rimpatrio non va rimandato oltre. Su indicazione della Farnesina viene disposto un aereo con equipe medica a bordo per riportare il ferito a casa, ma quando tutto è pronto il console si oppone. No, Filippo tornerà l’indomani, lo imbarcheranno loro, ma prima vuole che il suo medico personale lo sottoponga a ‘un ultimo esame medico’. Un brivido sale lungo la schiena di Mina al suono della parola ‘ultimo', ma non può che aspettare. Sabato 20, il giorno previsto per il rientro, il console sprofonda in un nuovo silenzio che dura quasi 48 ore.
Ricatti e ostruzionismo
La notte, tra il 21 e il 22 marzo arriva la telefonata che annuncia la morte di Filippo per ‘infarto del miocardio'. È esattamente dieci giorni dopo il suo arrivo oltreoceano che la spinosa vicenda dell'italiano bloccato in Messico si trasforma nel caso della misteriosa morte di Filippo Guarracino, e viene trattato sia dai giornali locali che da quelli italiani. Mentre la famiglia osserva un rigoroso silenzio stampa imposto dalla Farnesina, le testate napoletane riportano le dichiarazioni del consolato oltreoceano, dando le notizie più disparate, tra cui quella che il corpo del ragazzo sarebbe stato ‘abbandonato in Messico dalla famiglia'. Una tragica beffa, considerando che proprio per il rimpatrio della salma i Guarracino stanno fronteggiando i tentativi di ricatto delle agenzie funebri locali, che per pochi pesos in più rifiutano di restituire il corpo, che arriverà un mese dopo, il 21 aprile. Intanto a Napoli la denuncia della famiglia alla Procura ha fatto scattare l'indagine per omicidio guidata dal pm Roberta De Simeone, che dispone un nuovo esame autoptico. Irrimediabilmente compromesso dalle manipolazioni subite, il corpo di Filippo però, dice quello che il povero ragazzo non aveva potuto dire al telefono. Evidenti segni di violenze evocano l'immagine di una durissima aggressione, un trattamento non lontano dalla tortura e che coerentemente con alcune testimonianze raccolte dalla trasmissione ‘Chi l'ha visto?' (alcuni locali hanno visto la polizia bloccare Filippo a terra prima che venisse condotto in ospedale) potrebbe essere imputato ai poliziotti locali.
Il paradiso dei diavoli
Con il clamore del caso si accende un faro sulla violenza e la corruzione nel sud est del Messico. Sotto la lente i rischi per i turisti (l'ambasciata a Cancun appronta un vademecum per i viaggiatori), i metodi violenti della polizia, sottopogata e non qualificata e il sistema corruttivo che alimenta il riciclaggio di denaro sporco legato alla droga. In un simile contesto, spunta fuori un'inchiesta, datata 1998, della Procuraduria della Repubblica sul riciclaggio dei proventi del narcotraffico in alcuni gruppi alberghieri della costa. Tra questi spicca il palace resort, di proprietà del console onorario di Cancun, Pastaccini d'Addario, accusato di aver riciclato in attività lecite i soldi della droga. Per il diplomatico l'inchiesta era terminata con l’archiviazione, all'indomani della morte di Filippo fa notizia, nondimeno, perché per la morte del povero studente viene evocata proprio la droga.
La droga
Un articolo (il primo, all'indomani della morte, di cui la famiglia aveva saputo solo qualche minuto prima) pubblicato dal quotidiano ‘Diario de lo Yucatan' sul caso di Guarracino, parla di morte per sobredosis de cocaina: overdose, insomma e sebbene venga smentito dal consolato a stretto giro, tanto basta a gettare un'ombra sulla reputazione di Filippo. Come è potuta trapelare una notizia simile dall'Ospedale general di Cancun, dove, anche a messo che fosse vera – per ammissione del direttore sanitario della struttura – al momento del ricovero non avevano neanche per eseguire un drug test? Il ricovero in condizioni di incoscienza, infatti, è avvenuto la sera di martedì 16 marzo, mentre la morte è sopraggiunta il 20: dunque se la causa fosse stata overdose qualcuno avrebbe dovuto introdurre dall'esterno la droga e poi somministrarla a Filippo.
L'epilogo
Mentre, sottoposti a minacce e intimidazioni a Napoli i familiari dello studente si chiudono nel silenzio e le indagini languono, un anno dopo, nel marzo 2005 (quando ancora si attendono i documenti relativi al caso Guarracino), un altro italiano muore a Playa del Carmen. Simone Renda, bancario 34enne leccese, spira in cella dopo essere stato a sevizie e trattamenti e degradanti, 48ore dopo il suo arresto ingiustificato. La sua vicenda presenta puntuali e sorprendenti coincidenze con quella di Filippo, a cominciare dal furto del portafogli, per finire con la morte ‘per arresto cardiaco' passando dalla tempistica, esattamente uguale, di ogni passaggio, quasi che entrambi fossero finiti in un ingranaggio di cui non hanno compreso i meccanismi. Come dimostra un'ampia casistica evidenziata da Amensty international, Renda non è la sola vittima della polizia messicana, ma è l'unica ad aver visto riconosciute le colpe dei suoi carnefici. Il caso Guarracino, infatti, si concluderà con l'archiviazione.