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Vittime delle mafie, il dovere di non dimenticare [REPORTAGE]

Sette storie per non dimenticare le novecento vittime innocenti di mafia, ‘ndrangheta e camorra. Da Placido Rizzotto, sindacalista ucciso dalla mafia agricola di Corleone, alla piccola Simonetta Lamberti, ammazzata ancora bambina per colpire suo padre, a Gianluca cimminiello, condannato a morte per aver pubblicato una foto su Facebook. Sette vite spezzata dalle bestie della criminalità organizzata.
A cura di Alessio Viscardi
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Vittime di mafia e camorra, il dovere di non dimenticare

Il 17 marzo circa 100 mila persone da tutta Italia sono arrivate a Genova, sfilando in un silenzioso corteo assieme a Don Luigi Ciotti e all'associazione Libera per ricordare tutte le vittime innocenti di mafia, ‘ndrangheta e camorra. Novecento nomi scanditi in una lenta litania dal palco, come ogni anno, per ricordare tutti coloro che senza alcuna colpa sono caduti sotto i colpi di quelle "merde" della criminalità organizzata. Novecento storie diverse, novecento vite spezzate per errore, per caso, per sciagura. Corpi che -senza saperlo- sono finiti nella traiettoria di un proiettile destinato ad altri, come successo a Silvia Ruotolo -uccisa nel quartiere bene di Napoli durante un agguato- oppure utilizzate come scudi umani da boss vigliacchi, come la piccola Annalisa Durante -spazzata via ad appena tredici anni mentre giocava sotto al suo palazzo. Vittime di uno scambio di persona, come Gigi e Paolo -confusi con i guardaspalle di un boss napoletano e trucidati a colpi di mitra mentre progettavano le vacanze. Vittime come Lea Garofalo, uccisa dall'ex-compagno ‘ndranghetista e sciolta nell'acido. Vittime come i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, che avevano cercato di impedire la trattativa tra Stato e mafia.

Abbiamo deciso di raccontare la storia di alcune vittime delle mafie, per non dimenticare. Cominciando proprio con la storia di Placido Rizzotto, il sindacalista che nel 1948 fu ammazzato dalla mafia agricola di Corleone per il suo impegno a favore del movimento contadino che chiedeva di poter coltivare i latifondi incolti di proprietà dei protetti dai mafiosi. Assieme a Placido Rizzotto fu ucciso un bambino, Giuseppe Letizia, che aveva assistito all'omicidio del sindacalista. Il nipote di Rizzotto, che porta il suo stesso nome, a distanza di 64 anni si è detto emozionato alla notizia dell'identificazione certa dei resti del lontano zio, a cui saranno concessi i funerali di stato.

La storia di Attilio Manca è altrettanto oscura e misteriosa, ce la racconta suo fratello Luca presente il 17 marzo a Genova. Ad Attilio non è stato riconosciuto lo status di vittima di mafia, anzi ufficialmente il suo è un suicidio. Un suicidio su cui si addensano ombre, sospetti e la figura minacciosa dell'allora super-latitante e boss indiscusso di Cosa Nostra: Bernardo Provenzano. Attilio Manca era un medico urologo di Viterbo, fu ritrovato "suicida" per un'overdose di droga e alcool il 12 febbraio 2004. In realtà, i familiari si battono da anni perché le istituzioni facciano chiarezza sulla pista secondo cui Attilio avrebbe operato a Marsiglia il boss durante la sua latitanza e che sarebbe stato ucciso per cancellare le tracce.

La camorra ha ucciso centinaia di vittime innocenti, nonostante a Napoli si tenda a dire: "tutto bene, basta che si uccidano tra di loro". Non è così, non lo è mai stato. A cominciare dall'onoratissima società di Raffaele Cutolo, che nel 1982 decise di punire il giudice antimafia Lamberti uccidendogli la figlia ancora bambina, Simonetta. Sua sorella Serena, a distanza di quasi trent'anni, non riesce ancora a farsene una ragione: "La camorra non uccide soltanto una persona, distrugge un'interra famiglia" ci dice, prima di scoppiare in un pianto pieno ancora di quel  rancore, di quella rabbia, di quel dolore che non si lava via nemmeno con migliaia di lacrime.

Dario Scherillo stava rientrando a casa da lavoro sul suo motorino con cui consegnava le pizze, quando fu crivellato di pallottole. Era il periodo della faida di Scampia e camminare per strada era molto pericoloso. Dario non centrava nulla con la faida, fu uno "scambio di persona", come quello per cui Giovanni Fernandes è rimasto su una sedia a rotelle a soli 22 anni. Un proiettile gli ha spezzato la spina dorsale: "La cosa peggiore è che le forze dell'ordine non si sono interessate di me, credevano mi avessero sparato perché ero anche io un camorrista". Trattiene a stento le lacrime: "Così non te ne fai mai una ragione, se fossi rimasto paraplegico per un incidente avrei pensato che fossero cose che capitano, ma così no. Io sto soffrendo al posto di un altro, che magari se lo meritava pure…" Scambio di persona pure per Alberto Vallefuoco, ucciso a Pomigliano nel 1998. Suo padre Bruno ci dice, con la voce rotta dal dolore, che quando arrivò la sentenza di condanna per gli assassini di suo figlio, non cambiò nulla: "Giustizia non era stata fatta, perché la morte di Alberto non era servita a niente. Allora pensai che dovessi fare qualcosa per gli altri, in modo da dare un senso a quella morte" così diede vita alla fondazione Polis, che da anni si occupa di sensibilizzare i giovani contro la camorra.

Gianluca Cimminiello è morto per una foto su Facebook, sua sorella Susy si commuove a parlarne anche perché il dolore è ancora recente. Gianluca era un tatuatore esperto in kick-boxing. Caricò sul social network una foto sua con il suo idolo, il calciatore del Napoli Ezequiel Lavezzi. Un concorrente invidioso chiese l'intervento di alcuni ragazzi del "sistema" per punirlo, temendo che la popolarità raggiunta gli potesse rubare la clientela. Il gruppo decise dapprima di pestare Gianluca, ma in quattro non ci riuscirono e furono pesantemente malmenati. Tra loro c'era il figlio di un boss, che decise di punire l'ennesimo affronto con la sentenza di morte, eseguita tre giorni dopo. "La camorra può colpire tutti – dice Susy – Anche quelle famiglia come la nostra, che con loro non avevano mai avuto niente a che fare".

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