Violenza ostetrica, Michela: “Parti intime dilatate senza motivo, il medico mi urlava addosso”
"Per me è stata una violenza fisica e morale. Mi sono sentita abusata, sono dovuta andare in cura da una psicologa perché mi stavo perdendo: questo ha influito in modo negativo sulla mia esperienza da neomamma". Michela è una ragazza di trentuno anni. Abita a Napoli, dove ha partorito, e ha deciso di condividere la sua storia per aiutare altre donne che come lei sono state vittime di violenza in sala parto. "Doveva essere l'esperienza più bella della mia vita, è stata la peggiore".
Michela è rimasta incinta durante il lockdown. "Ho frequentato un corso preparto alla Asl di Napoli, c'era una dottoressa molto brava e presente che ci ha aiutate tantissimo e preparate ad affrontare parto e travaglio. Quando mi sono venute le prime contrazioni sapevo perfettamente cosa dovevo fare: ho respirato, mi sono fatta una doccia calda, e ho aspettato che i dolori si facessero frequenti prima di andare in ospedale, tanto che sono arrivata lì già dilatata di 7 centimetri. Ero molto fiduciosa e pronta a vivere questa esperienza a 360 gradi".
Appena arrivata in ospedale, Michela è stata fatta sedere in pronto soccorso. "Sono stata parcheggiata lì per mezzora, finché una signora ha capito che stavo per partorire e ha chiamato un medico. Sono stata portata al piano di sopra in pieno travaglio, in una stanza dove c'erano tre ostetriche. Mi hanno infilato una mano nelle parti intime e rotto qualcosa, non so se fossero le acque, ma ho sentito parecchio dolore".
Michela era dilatata e prossima al parto. Una volta arrivata in sala, ha chiesto di poter far nascere il bambino in acqua, nella piscina in dotazione all'ospedale. "Le ostetriche si sono seccate perché dovevano avvolgere i fili in una plastica protettiva, e mi hanno subito detto che avrebbero dovuto fare un macello. Ho risposto che se era troppo disturbo non c'era problema, che potevo fare su una sedia. Alla fine mi hanno riempito la piscina, e detto di galleggiare col bacino verso destra e sinistra per accompagnare il travaglio".
La ragazza è rimasta da sola in sala parto, senza nessuno che le desse assistenza. Solo un'ostetrica ogni tanto faceva capolino in stanza e le diceva di spingere, senza però controllare quanto fosse dilatata e se quello fosse effettivamente il momento di spingere. Non le è stata fatta nemmeno l'epidurale, adducendo come scusa che non era possibile a causa della mancanza di personale dovuta alla pandemia.
"Capisco che eravamo in lockdown, che c'erano altre mamme a dover partorire, ma mi sarei aspettata almeno una persona presente, soprattutto per un primo figlio. L'ostetrica continuava a entrare e uscire dalla stanza urlandomi di spingere, lo ha fatto per cinque/sei volte. A me veniva in mente la voce della mia dottoressa del corso preparto, che ci diceva di non spingere quando non sentivamo di doverlo fare, perché se lo fai a caso rischi di peggiorare un'eventuale lacerazione. Volevo gestire la cosa a modo mio, ma lei mi urlava di spingere, e non potevo fare altro che assecondarla".
"A un certo punto credo si sia scocciata, mi ha detto di girarmi e accovacciarmi in avanti mettendo le ginocchia sulla vasca. Diceva ‘al mio tre spingi', e ha allargato le mie parti intime con le mani. Mi sono sentita molto a disagio, non sapevo se era una cosa che succedeva a tutte le mamme, se era normale. Mi sono sentita violentata, ancora oggi mi fa male. È l'unica cosa che ricordo bene del parto: questo movimento violento, imbarazzante, abusivo. Lo ha ripetuto per un bel po' di tempo, io urlavo e piangevo. Sono passata dal partorire quasi sul divano di casa di mia madre, a stare in quella vasca con lei che mi dilatava. Come se volesse accelerarmi il parto".
Dopo parecchie manovre fatte con la mano, a Michela è stato indotto il parto con l'ossitocina. L'ostetrica l'ha fatta mettere sulla sedia e le ha detto ancora di spingere. "Non mi dava nemmeno il tempo di respirare, non ci stavo capendo niente. Non mi sono sentita protetta. Eravamo solo io e lei nella stanza, senza nessun supporto. Quando è uscita la testa del bimbo ha iniziato a urlare che aveva bisogno di aiuto, e sono arrivate altre due ostetriche e un ginecologo, che mi ha urlato: "o spingi o tuo figlio muore affogato". Ho avuto una paura tremenda e ho spinto con tutta me stessa. Nel frattempo il dottore mi ha spinto sull'addome, facendomi una sorta di manovra. Il bambino è uscito completamente e ho sentito uno strappo tremendo. Dalle carte ho poi saputo che ho avuto una lacerazione di terzo grado, uno dei casi più gravi".
Ciò che Michela si chiede è se le cose sarebbero andate in modo diverso se fossero stati rispettati i tempi fisiologici del parto. "Credo abbiano accelerato tutto, ho partorito dopo nemmeno due ore dall'arrivo in ospedale. È stata un'esperienza traumatica: quando mi hanno avvicinato il bambino per allattarlo l'ho cacciato. Non ho avuto il primo incontro con mio figlio, il contatto pelle a pelle. Mi hanno rubato quell'emozione e rovinato quella che doveva essere l'esperienza più bella della mia vita. Sono stata trattata molto male anche quando mi hanno messo i punti, il medico mi sgridava perché non riuscivo a tenere ferma la gamba. Tutto questo mi è stato fatto sempre senza anestesia, non avevo avuto nemmeno l'epidurale in travaglio".
Le cose non sono migliorate nemmeno una volta tornata in reparto. Michela ha capito che qualcosa non andava: si sentiva bagnata e ha chiamato un'infermiera. Stava perdendo molto sangue e l'hanno portata nuovamente in sala parto. "Mi hanno tolto i punti e rimesso l'ossitocina, avevo ancora della placenta dentro. Poi mi hanno lasciata sul lettino della sala fino alle 23. Sentivo gli infermieri gridare e litigare per un caffè mentre io gridavo e piangevo che volevo bere, mangiare e tornare in camera mia. Erano passate ore e non sapevo se mio figlio era vivo, se stava bene, se aveva mangiato".
"In stanza ho iniziato a piangere, avevo fame, sete e dovevo andare al bagno. L'infermiera mi ha detto che non era vero, che la mia era solo una sensazione perché mi avevano appena levato il catetere. Ho provato a insistere ma non mi davano retta. Ho chiesto più volte il loro aiuto, non potevo muovermi da sola, ma nessuno è arrivato. Alla fine non ho più resistito e ho fatto la pipì nel letto. L'infermiera si è molto arrabbiata e mi ha sgridata ancora. Mi sono sentita trattata come un'animale".
Ciò che è successo ha lasciato a Michela degli strascichi fisici. Ha della pelle in eccesso nelle parti intime perché le cuciture non sono state fatte nel modo adeguato. Potrebbe operarsi, ma ha il terrore di farlo. Cosa non vuole fare ora, è un altro figlio. Dopo il parto ha avuto gli incubi per molto tempo. "Le mamme non dormono perché devono allattare, io ero più sveglia di mio figlio per gli incubi. Sognavo sempre la mani di quell'ostetrica".
La depressione è venuta dopo, quando Michela ha portato il figlio a una visita pediatrica presso l'ospedale dove ha partorito. "Il bimbo aveva un'infezione agli occhi, lo stafilococco. Il medico mi ha urlato in faccia che era colpa mia, mi ha chiesto che razza di madre fossi, che non mi lavavo nemmeno le mani prima di toccare il neonato e che non dovevo farlo prendere in braccio ad altre persone. Non mi facevo un pianto dal parto, sono scoppiata lì e non riuscivo più a finire. Da quella ramanzina forte sono entrata in depressione". Michela ha poi scoperto che il bimbo molto probabilmente aveva preso lo stafilococco durante il parto, e che tra i neonati è una cosa molto comune.
Michela è riuscita a uscire dalla depressione grazie all'aiuto di una psicologa e ai suoi amici. "Non mi sentivo più una donna, mi sentivo manomessa, rotta dentro. Se sto raccontando la mia storia è per dire alle altre mamme che non sono sole. È successo a me, è successo ad altre e succederà ancora. Spero possa nascere una legge che ci tuteli, che io possa diventare una voce affinché queste realtà nascoste possano venire allo scoperto. Ogni mamma ha il diritto di partorire, di avere assistenza medica ed essere supportata. Se non avete voglia di supportarci psicologicamente almeno non trattateci male e fatevi da parte, perché siamo in un momento molto delicato della nostra vita, di cui poi siamo noi a dover subire le conseguenze".