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Omicidio ex vigilessa Sofia Stefani

Vigilessa uccisa, il rapporto con le colleghe: “Gualandi la usava per destabilizzare ambiente”

Nel processo per l’omicidio della vigilessa Sofia Stefani, uccisa ad Anzola dell’Emilia nel maggio 2024 dal superiore Giampiero Gualandi, emergono tensioni, accuse di favoritismi e un ambiente lavorativo segnato da conflitti, stando a quanto raccontato da due ex colleghe della vittima.
A cura di Biagio Chiariello
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Prosegue davanti alla Corte d’Assise di Bologna il processo per l’omicidio di Sofia Stefani, la vigilessa trentatreenne uccisa il 16 maggio 2024 all’interno dell’ufficio del suo superiore, l’ispettore Giampiero Gualandi, nel comando della polizia locale di Anzola dell’Emilia. A rispondere dell’accusa di omicidio volontario aggravato dai futili motivi e dalla relazione affettiva con la vittima, è proprio Gualandi, con cui Stefani aveva intrecciato un legame extraconiugale che, secondo gli inquirenti, sarebbe degenerato fino a sfociare in tragedia.

Seduto accanto ai suoi avvocati difensori, Claudio Benenati e Lorenzo Valgimigli, l’imputato continua a sostenere la tesi dell’incidente: un colpo esploso accidentalmente durante una colluttazione. Ma per la procura, rappresentata dalla pm Lucia Russo, non ci sono dubbi: Gualandi avrebbe premuto il grilletto in modo deliberato. Le indagini dei carabinieri sembrano confermare la volontarietà del gesto.

Durante l’ultima udienza, presieduta dal giudice Pasquale Liccardo, hanno testimoniato due figure chiave per ricostruire il clima lavorativo e personale che precedeva l’omicidio: Antonietta Meola, sovrintendente della polizia locale di Sala Bolognese, e Cristina Laneri, ex collega della vittima.

Un ambiente teso e un trasferimento controverso

Le parole di Meola hanno tratteggiato un quadro di forti frizioni all’interno del corpo di polizia locale. “Con la Stefani i rapporti erano molto tesi – ha dichiarato – perché non riconosceva l’autorità dei superiori e manteneva comportamenti non consoni alla divisa. Il suo trasferimento da Sala Bolognese ad Anzola fu deciso per incompatibilità ambientale. Non riuscivamo a lavorare con lei e lei non si integrava con noi.”

Secondo Meola, Sofia si relazionava esclusivamente con Gualandi, ignorando la catena gerarchica ufficiale. “Non riconosceva né la comandante Fiorini né noi come suoi superiori. Solo Gualandi.”

A riprova della sua testimonianza, Meola ha affermato di aver redatto ben tre relazioni formali su comportamenti ritenuti problematici da parte della Stefani: l’uso costante del cellulare personale in servizio, il sospetto di registrazioni non autorizzate a bordo dell’auto di pattuglia, e l’atteggiamento conflittuale con i colleghi. “Parlava sempre con Gualandi. Metteva il cellulare sulle gambe in macchina e temevamo di essere registrate. Sofia contestava tutto ciò che facevamo.”

Una figura ambigua, tra favoritismi e accuse di manipolazione

A rincarare la dose è stata Cristina Laneri, altra ex collega della vittima, che ha evocato un clima di tensione costante all’interno del comando e ha parlato apertamente del ruolo destabilizzante che, a suo dire, Sofia ricopriva: “Non essendoci buoni rapporti tra l’ispettore Gualandi e la comandante Fiorini, ho sempre pensato che Sofia venisse usata da lui per creare scompiglio all’interno dell’ambiente lavorativo.”

Laneri, pur dichiarando di non aver mai avuto scontri diretti con la collega, ha dipinto una persona difficile da gestire: “Non mi ispirava fiducia. Aveva atteggiamenti che non ritenevo appropriati per chi indossa una divisa. Una volta l’ho sentita parlare male di me al telefono. Si comportava come se potesse fare qualsiasi cosa, protetta dall’ispettore Gualandi.”

Un processo che svela dinamiche profonde

Le testimonianze hanno evidenziato non solo una frattura tra la vittima e il resto del corpo di polizia locale, ma anche una relazione complessa e potenzialmente tossica tra Sofia e il suo superiore, oggi imputato. Una relazione che, secondo l'accusa, avrebbe contribuito a creare un clima sempre più teso, fino all’epilogo tragico.

Il processo è ancora in corso, ma dalle aule del tribunale di Bologna continua ad emergere un intreccio di rapporti personali, tensioni lavorative e presunti favoritismi che vanno ben oltre i confini dell’ambito professionale. Sul banco degli imputati non c’è solo Gualandi, ma un intero sistema che – secondo chi indaga – potrebbe aver chiuso gli occhi troppo a lungo.

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