Viaggio nella villa del boss Zuccaro: “Qui come Medellin quando c’era Pablo Escobar”
Nel giro di un paio di settimane sono sparite le statue di pietra che reggevano i lampioni, il citofono è stato divelto e la cassetta delle lettere è stata aperta. Sono i segni visibili che, da quando a Catania si è ricominciato a parlare delle ville di Maurizio Zuccaro, qualcuno ha deciso di portare via quello che poteva. In via Filippo Corridoni, a Gravina di Catania, il cancello che un tempo chiudeva la strada pubblica adesso è aperto. Ma a presidiarlo c'è una telecamera: "Non l'abbiamo messa noi, non sappiamo di chi sia", dice Massimiliano Giammusso, sindaco del Comune.
È lungo quella strada che si trova il compound, oggi confiscato, di uno dei più noti boss di Cosa nostra catanese: Maurizio Zuccaro è detenuto e l'ultima condanna definitiva, all'ergastolo, è arrivata pochi giorni fa. È ritenuto colpevole di avere organizzato l'omicidio di Luigi Ilardo, nome in codice Oriente, il confidente dei carabinieri ammazzato a Catania nel 1996. Di lì a poco, Ilardo sarebbe ufficialmente diventato un pentito e sarebbe stato ammesso al programma di protezione. Grazie alle sue parole, se fossero state ascoltate, il superboss Bernardo Provenzano avrebbe potuto essere arrestato già nel 1995, durante un summit nelle campagne di Mezzojuso. Prima dello Stato arrivarono le pistole di Cosa nostra. E per l'organizzatore di quell'assassinio è scattata un'altra condanna al carcere a vita.
Gli anni della libertà, però, Zuccaro li ha trascorsi tra quelle ville: una grande piscina a forma di conchiglia nella villa principale, un'altra più piccola in un edificio attiguo. E poi innumerevoli appartamenti, tutti vicini e tutti confiscati in via definitiva. Da qualche mese, l'Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati li ha messi a bando e così l'ex amministratore giudiziario, oggi responsabile di quelle ville per l'Anbsc, scopre di dovere mostrare quegli immobili alle associazioni che vogliono immaginarci dentro dei progetti sociali. "Bisogna andare con i carabinieri, l'ultima volta erano ancora occupati dai familiari", diceva, raggiunto al telefono.
E pure i familiari hanno la loro storia: il figlio primogenito, Rosario, è accusato di associazione a delinquere di stampo mafioso in due diversi procedimenti penali. Il secondo, Filippo, è meglio noto al grande pubblico con lo pseudonimo di Andrea Zeta, cantante neomelodico tra i più famosi da Napoli in giù. E anche lui è stato arrestato, nel 2019, sempre con l'accusa di mafia. Nelle ville che stamattina erano aperte – e che solo un paio di settimane fa gli attivisti avevano trovato chiuse e con citofono e statue ancora ai loro posti – i due rampolli ci sono cresciuti. Lo testimoniano gli album di foto rimasti per terra, in una delle stanze di una palazzina più datata. Su un muro sembra esserci scritto, dissimulato tra lettere confuse con la vernice spray, "Vi stacco la testa".
"Questa era l'affermazione dell'impunità della mafia", dice Claudio Fava, presidente della Commissione antimafia all'Assemblea regionale siciliana. Partecipa al sopralluogo improvvisato, assieme ai carabinieri di Gravina, alla polizia e ai componenti delle associazioni etnee. "Questo territorio è stato privatizzato, come Medellin negli anni di Escobar", continua. Dopo avere scoperto la storia di quella villa e delle difficoltà a entrarci, nonostante il sopralluogo sia obbligatorio da bando, Fava e la commissione hanno chiesto all'Agenzia nazionale per i beni confiscati di rivedere il bando per via dello “stato in cui versano molti dei beni: condizioni spesso fatiscenti con edifici tuttora abusivi o privi di abitabilità, beni a volte sconosciuti agli stessi coadiutori giudiziari che ne hanno la responsabilità e, soprattutto, immobili ancora occupati abusivamente da familiari e congiunti dei boss mafiosi a cui sono stati confiscati”.
La risposta è arrivata poco dopo: la scadenza prevista per i beni siciliani, rende nota la commissione, è stata prorogata al 15 dicembre. Inizialmente era fissata per il 31 ottobre e il flop, a quelle condizioni, sarebbe stato dietro l'angolo. "E non è ancora scongiurato: qui nella villa degli Zuccaro torneremo ufficialmente il 13 ottobre, con i carabinieri. A breve andremo in un'altra zona della provincia, dove dovrebbero esserci tre appartamenti. Ma siamo stati avvisati che potremo visitarne soltanto uno: gli altri due sono occupati. Il nostro sogno è che beni come questi possano tornare a vivere – dichiara Matteo Iannitti, dell'associazione I Siciliani giovani, che per prima ha sollevato il problema insieme all'Arci Sicilia – Deve essere chiaro che ogni mattonella di queste ville è fatta di omicidi, droga, estorsioni, e della miseria di tante famiglie siciliane perbene. Queste mattonelle, però, possono diventare asili comunali, sedi di associazioni antiracket e alloggi per chi versa in condizioni di emergenza abitativa".