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Emergenza lavoro

“Via dall’Italia per un lavoro dignitoso, ma mi sento sconfitta: soffro perché non vedo mio padre invecchiare”

Riceviamo e pubblichiamo la lettera di una 28enne che, non trovando un lavoro dignitoso in Italia, si è trasferita all’estero: “Qui ripetevano che non avevo abbastanza esperienza, qualcuno voleva sapere anche se ero fidanzata o sposata o avevo figli. Per non parlare di quando chiedevo la retribuzione. All’estero è diverso, ma quando mi chiedono perché ho lasciato la Sicilia mi sento sconfitta”.
A cura di Redazione
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La nostra redazione riceve lettere e testimonianze relative a storie che riguardano il mondo del lavoro. Decidiamo di pubblicarle non per dare un'immagine romantica del sacrificio, ma per spingere a una riflessione sulle condizioni e sulla grande disparità nell'accesso a servizi essenziali. Invitiamo i nostri lettori a scriverci le loro storie cliccando qui.

Pubblichiamo di seguito la lunga lettera che ci ha scritto una ragazza siciliana di 28 anni che, dopo anni di studi e formazione, ha cercato un lavoro in Italia trovando però solo contratti precari e stipendi che le consentivano a malapena di pagare l'affitto. Così, alla fine, ha deciso di andare all'estero, esattamente come suo padre tanti anni prima aveva lasciato la Sicilia per lavorare e garantire un futuro ai figli: "Qualche tempo fa mio padre mi ha detto quanto gli sia dispiaciuto non vedermi crescere giorno dopo giorno, ma a pezzi. Esattamente come dispiace a me non vederlo invecchiare. E dopo 28 anni, il motivo è sempre lo stesso".

La lettera a Fanpage.it

Sono una ragazza siciliana di 28 anni, anch'io come tanti e tante scappate all'estero, in Germania. Nessuna storia speciale, spero solo che le tante testimonianze di questo tipo aiutino a far riflettere un po'. Come molti sono figlia di un padre operaio che ha sempre lavorato fuori dalla Sicilia per mantenere la famiglia, quindi diciamo che il "sacrificio della lontananza" lo conosco già da piccolina. Già allora mi chiedevo il perché e mio padre mi diceva che era un sacrificio che doveva fare. Continua a farlo ancora oggi, a 60 anni.

Io ho studiato da fuorisede, ho una laurea triennale e magistrale in lingue. Come tanti studiavo e lavoravo, cercando di dare sempre gli esami in tempo per poter mantenere la borsa di studio. Ho sfruttato tutte le opportunità per aprirmi più possibilità lavorative, master, corsi extra offerti dall'università o a pagamento, Erasmus, ho fatto anche un tirocinio in Germania. Sono riuscita a pagarmi tutto sola, con sacrifici e rinunce, com'è giusto che sia, ed ero felice di farlo.

Ho corso tanto per finire, non vedevo l'ora di arrivare al fatidico mondo del lavoro e quando finalmente ci ero arrivata ero pronta, carica. Ero sempre stata convinta di voler andare via dall'Italia e durante il tirocinio pensavo di restare in Germania, poi invece ci ho ripensato, ero convinta che qualcosa avrei trovato anche in Italia e sono tornata. A me piace scrivere, mi interessa il settore turistico, ma ho sempre lasciato tutte le porte aperte, anche nel settore export mi sarebbe piaciuto.

Ho fatto un anno e mezzo di colloqui, nel frattempo facevo il servizio civile, ma ricevevo solo offerte con contratti precari e stipendi con cui a malapena mi ci pagavo l'affitto, sentendo ripetere che non avevo abbastanza esperienza, qualcuno voleva sapere anche la mia vita privata, se ero fidanzata o sposata o avevo figli. Per non parlare di quando chiedevo la retribuzione. Una volta mi è stato detto che quello non era assolutamente il momento adatto per parlare di soldi. Ero senza parole.

Ironia della sorte, l'azienda in cui lavoro fornisce anche questa italiana. Iniziavo a pensare che era stato tutto inutile e che forse avrei potuto fare di più. Finché mi sono stufata e ho iniziato a cercare all'estero. Dopo qualche mese ero di nuovo in Germania. Durante un colloquio, con una frase avevano ridato senso ai miei sforzi.

Già al primo anno guadagnavo più di 2.000 euro netti, dopo un anno ho avuto l'indeterminato e l'aumento. Ogni anno danno un piccolo aumento. Pensate che per sbaglio ho scoperto di guadagnare qualcosa in più rispetto ad altri proprio perché ho una laurea. Questa cosa mi ha colpito molto. Sapete la contraddizione con cui devo convivere? Li aiuto a esportare in Italia qualcosa che hanno imparato da noi, forse una delle nostre eccellenze. A volte mi vergogno pure a dirlo.

A parte lo stipendio, ci sono altre differenze: ad esempio l'orario di lavoro è molto flessibile e tra le 16.00 e le 17.00 gli uffici chiudono, se hai ore di straordinario puoi recuperarle con ore/giorni liberi, il venerdì si lavora mezza giornata e questo lo trovo un buon compromesso tra settimana lunga o corta. Ed è una caratteristica di quasi tutte le aziende, non solo la mia. Ma soprattutto, noto più fiducia nei giovani, laureati e non. Ho colleghe e colleghi coetanei o anche più piccoli, c'è chi alla mia età ha già 7-8 anni di esperienza alle spalle.

Chi decide di non fare l'università può fare formazione e lavoro, imparano un mestiere senza il bisogno di dover fare la cosiddetta gavetta, hanno diritto alle ferie e soprattutto hanno più possibilità di trovare lavoro molto presto e avere la propria indipendenza prima di 30 anni. Questo in Italia non è comune, anzi abbiamo la paura di non farcela economicamente. E ogni volta che mi fermo a pensare su quello che ho qui mi chiedo sempre perché non posso avere tutto questo a casa mia. Perché dopo anni siamo ancora costretti a scegliere tra una vita lavorativa dignitosa o restare accanto ai nostri cari? Perché siamo costretti ancora a convivere con questo conflitto e ai saluti strazianti?

In fondo qui non c'è niente di speciale, nessun "lusso", è solo quello che deve essere la normalità, un lavoro retribuito adeguatamente e diritti. C'è chi parte per motivi personali, ma ogni italiano andato all'estero per motivi di lavoro e conosciuto finora tornerebbe in Italia se avesse quello che ha qui, anzi, non sarebbe neanche partito. Io in primis.

E allora mi chiedo ancora, perché un'azienda estera può pagare un neolaureato più di 2.000 euro e, in generale, sa offrire più opportunità a tutti, giovani, adulti, laureati e non, e le italiane no, cosa hanno di più le aziende estere? Tecnicamente niente, anzi. L'Italia ha del potenziale sotto tanti punti di vista che proprio l'estero ci invidia, e non parlo solo di gastronomia e cultura. Qui ad esempio le ricette elettroniche devono ancora arrivare, non tutti conoscono e usano la PEC, dobbiamo pagare l'assicurazione sanitaria eppure spesso devi aspettare mesi per ottenere un appuntamento, in Italia abbiamo la sanità pubblica, che arranca lo so, ma vi prego salvaguardatela perché è preziosa! Ma allora mi chiedo perché non si riesce a cambiare anche da altri punti di vista?

Chi tutte le mattine si alza per lavorare va ricompensato nel modo giusto e soprattutto vanno rispettati i suoi diritti. A volte ho l'impressione che, in Italia, chi ti assume è come se ti stesse facendo un favore. Ma in realtà ci si fa un favore a vicenda, no? È questo il motivo per cui ce ne andiamo e abbiamo paura di tornare. Anche il mio ragazzo è venuto con me, non conosceva la lingua, lo stato l'ha aiutato a pagare il corso per integrarsi e faceva lavoretti qua e là, con contratto e paga regolare. Nessuno ci ha regalato niente, come tanti e come è giusto ci siamo dati da fare, anche qui si fanno rinunce, ma alla fine del mese ci arriviamo con la tranquillità di riuscire a pagare quello che dobbiamo e risparmiare qualcosa.

Ci tengo a dire che la mia non è un'esaltazione dell'estero perché i problemi, economici e non, così come i "furbetti" esistono ovunque e c'è chi ha avuto esperienze negative anche qui. Però è da anni che siamo in tanti a fuggire e questo vuol dire che qualcosa lì è rimasto fermo. Tutte le volte che mi chiedono "e tu perché dalla Sicilia te ne sei venuta qui?" per me è una sconfitta perché mi sento l'ennesima testimonianza di un paese che in questo ha fallito.

Non dobbiamo essere apprezzati dopo che l'hanno fatto all'estero ma ora, subito. Bisogna darci fiducia. Perché penso che sacrifici accettabili debbano essere alzarsi presto la mattina e lavorare duro, ma lasciare la famiglia per la ricerca di un futuro e la mancanza di condizioni lavorative dignitose è un sacrificio che non può e non deve esistere. Perché nonostante valigie e macchina piene ti porti dietro un vuoto tanto, troppo grande che i soldi non colmano.

Per quanto utile, non basta un telefono per accorciare le distanze, non una videochiamata per dirti quanto sia cresciuto tuo nipote né quanto siano invecchiati i tuoi. Una volta messo giù, tu sei sempre qui e loro sono sempre lì. Proprio qualche tempo fa mio padre mi ha detto quanto gli sia dispiaciuto non vedermi crescere giorno dopo giorno, ma a pezzi. Esattamente come dispiace a me non vederlo invecchiare. E dopo 28 anni, il motivo è sempre lo stesso.

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