“Via dall’Italia per fare lo chef a Miami: all’estero c’è più meritocrazia, ma ho un sogno nel cassetto”
Tra i "cervelli in fuga" dall'Italia ci sono anche gli chef. In realtà, quella che vi stiamo per raccontare, non è una vera e propria fuga, ma un'esigenza di fare esperienza all’estero per salire di livello e magari, un domani, aprire un locale forse proprio nel Bel Paese. Questa è la storia di Niccolò Candian, 22enne milanese di Peschiera Borromeo, di professione chef, un passato al ristorante “Les Pecheurs” di Nizza, di rientro in Italia presso il “Visionaire Bistrot” di Filippo Gozzoli e poi al ristorante Masuelli, entrambi a Milano. Ora la vita di Niccolò, dal 20 gennaio, si sposta addirittura a Miami, in Florida, alla ricerca di una nuova e prestigiosa esperienza, che per scaramanzia non nomineremo.
La tua fuga dall’Italia è una necessità di fare esperienze internazionali o è un'esigenza di essere valorizzati altrove perché in Italia si è pagati poco e si lavora troppo?
"Diciamo che è un po' un insieme di tutto quanto. Sicuramente un'esperienza all'estero, come ho già fatto, ti apre la mente. Ti fa provare esperienze nuove rispetto a quelle che sono le tue abitudini normali. Certamente all'estero c'è più meritocrazia: credono molto di più in quello che è il lavoro dei giovani. Se un giovane vale lo premiano. In Italia questo, purtroppo, non accade. Qui c'è bisogno dello chef con decine d'anni di esperienza. Il giovane viene visto esclusivamente come riserva".
C'è in te ansia di prestazione visto che tenterai la sorte presso un nome sinonimo di prestigio e qualità?
“ L'ansia c'è comunque e dovunque, è un po' come giocare una partita di calcio importante. Però c'è anche la consapevolezza di saper fare bene questo mestiere, che è la mia passione, e quindi anche una sorta di tranquillità".
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La lontananza dalla famiglia ti peserà o sapere di poterci sempre contare sarà di aiuto e di stimolo?
"Posso sicuramente dire che la mia famiglia è stato il trampolino di lancio. È quella che mi spinge a dare e fare sempre di più. Sicuramente sentirò la mancanza, ma so che mi è continuamente vicina e posso sempre contare su di essa".
Perché in Italia si fa fatica ad affermarsi? Non sembrerebbe visti i vari Locatelli, Cannavacciuolo, Barbieri, Cracco, Oldani e altri nomi, quotati anche all'estero…
"Diciamo che non si fa fatica ad affiorare in Italia come chef. Si fa fatica come giovane chef, perché si richiede un'esperienza di anni. Secondo me non è questo che conta, ma è la qualità del lavoro che fai e la passione che tu ci metti. Diciamo che si è formata una sorta di èlite: i nomi che girano nella ristorazione, in sostanza, sono sempre quelli. In Italia giustamente ci sono delle esigenze e purtroppo con gli stipendi che danno ai ragazzi in cucina, un giovane di 22/23 anni non può trasferirsi e lavorare da solo se è un capopartita in un ristorante. Lo stipendio è talmente basso, che non riesce ad affrontare tutte le spese. Quindi deve rimanere con la famiglia. Se un ragazzo giovane vuole provare un'esperienza di vita e lavorativa deve per forza uscire dal nostro Paese".
Secondo te, c'è troppa cucina in televisione? O è necessario fare decine di programmi di cucina nelle varie tv?
"Secondo me è giusto che sia così. Bisogna differenziare. La cucina in tv è un mondo e la cucina di ristorazione è un altro. Non bisogna assolutamente paragonare le due cose. Diciamo che la cucina in televisione è più per una cucina casalinga, quella che tu fai tutti i giorni mentre, secondo me, la cucina di ristorazione, per quello che ad oggi vediamo in tv, è completamente un altro mondo".
Quanto è importante l'affiatamento del team, in cucina?
"Molto, davvero molto. Quello che fa uno chef importante, non è frutto solo delle sue abilità, ma è tutto quello che gli gira intorno. Dal lavapiatti che, da quella che è la mia esperienza, è un punto fondamentale, allo chef: tutti sono un meccanismo perfetto per poter far sì che lo chef stesso e il ristorante possano avere i migliori risultati".
Una domanda un po' particolare. All'italiano piace nutrirsi o mangiar bene? E agli stranieri?
"All'italiano piace mangiar bene, senza dubbio. Anche gli stranieri lo vorrebbero, ma non hanno tutte queste possibilità gastronomiche da poterlo fare. L'Italia è il top nell'enogastronomia mondiale".
Immagino che non ti fermerai a Miami. Le tue prossime tappe?
"Dico, senza timor di smentita, l'Australia. Poi, sicuramente, mi piacerebbe ritornare in Francia".
Quale sarà il tuo piatto forte, eventualmente, a Miami?
"Non ce l'ho già in testa, perché lo voglio studiare là. Ovviamente bisogna vedere quali sono le esigenze delle persone. Sicuramente, ciò che mi piacerebbe portare a Miami, è l'italianità e un po' di esperienza di quelli che sono stati i miei viaggi, al di là di quelli lavorativi".
Il tuo sogno nel cassetto è forse aprire un ristorante tutto tuo in Italia?
"Il mio sogno nel cassetto è aprire uno o più ristoranti, ma a oggi non credo di poterlo fare in Italia".