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“Vi spiego cosa c’entrano i clan criminali con la morte di Antonella Lopez”: parla il prete antimafia

Don Angelo Cassano, referente di Libera in Puglia: “Questo territorio è pieno di armi. E questo accade perché ci sono ragazzi, rampolli di famiglie mafiose, che controllano i clan a Bari. I loro genitori sono in carcere, quindi stanno prendendo in mano il controllo della situazione. Derubricare quello che è successo sabato sera a una ‘lite finita male’ è sbagliato”.
Intervista a Don Angelo Cassano
Referente di Libera in Puglia e parroco della chiesa di San Sabino a Bari
A cura di Davide Falcioni
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Don Angelo Cassano e Antonella Lopez
Don Angelo Cassano e Antonella Lopez

"Derubricare quello che è successo sabato sera a una ‘lite finita male' è sbagliato. Quello che è accaduto va letto in altro modo: siamo in un contesto in cui le organizzazioni criminali, pur essendo state ridimensionate a seguito di importanti inchieste della magistratura, sono presenti e vivono nei territori attraverso i giovani e i giovanissimi". A parlare, intervistato da Fanpage.it, è don Angelo Cassano, parroco della chiesa di San Sabino del quartiere Japigia di Bari nonché referente di Libera in Puglia.

Il sacerdote non ci sta a ridurre l'omicidio alla discoteca Bahia di Molfetta di Antonella Lopez a un "incidente", al frutto di una "fatalità". Quello che è accaduto sabato notte si inserisce invece nell'ambito di un confronto tra famiglie mafiose controllate spesso da ragazzi ben armati, in un quadro in cui povertà culturale ed economica la fanno da padrone, e in cui la politica criminalizza i giovani che si dedicano alla solidarietà, ma stringe accordi con esponenti della criminalità organizzata.

Dopo le morte di Antonella Lopez lei ha scritto: "Niente può giustificare una morte così. Antonella ci mette tutti dinanzi alle nostre responsabilità".

Faccio una premessa. Antonella Lopez è una vittima innocente: credo sia stato eccessivamente enfatizzato il cognome che porta e il fatto che un suo zio sia stato ucciso in una faida tra clan. Si dà troppo spazio a giustificazioni di questo tipo. Invece va detto con chiarezza: quella ragazza non aveva colpe; è morta lei, ma sarebbero potute morire altre persone in quella discoteca sabato sera, perché quel luogo era strapieno di ragazzi, e non tutti erano rampolli di famiglie mafiose. La maggior parte di loro, al contrario, era lì solo per divertirsi.

Poteva capitare a chiunque, certo, anche perché evidentemente c'erano dei ragazzi che circolavano armati. Come è possibile?

Questo territorio è pieno di armi. E questo accade perché ci sono ragazzi, rampolli di famiglie mafiose, che controllano i clan a Bari. I loro genitori sono in carcere, quindi stanno prendendo in mano il controllo della situazione. E qui veniamo a un punto fondamentale: derubricare quello che è successo sabato sera a una "lite finita male" è sbagliato. Quello che è accaduto va letto in altro modo: siamo in un contesto in cui le organizzazioni criminali come i clan Palermiti, i Parisi, gli Strisciuglio, i Capriati o altre famiglie, pur essendo state ridimensionate a seguito di importanti inchieste della magistratura, sono presenti, e vivono nei territori attraverso i giovani e i giovanissimi.

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Che cosa gestiscono questi clan a Bari e nell'interland?

Come dimostra l'inchiesta "Codice interno", riguardante le comunali baresi del 2019, le mafie sono presenti a tutti i livelli e arrivano anche in provincia: sono nella politica, nello sport, nel turismo, tra i lidi balneari, nelle attività imprenditoriali. Da diversi anni a questa parte le famiglie criminali baresi non controllano più solo le estorsioni e lo spaccio, ma si sono allargate infiltrandosi nelle municipalizzate, nelle amministrazioni pubbliche, riuscendo a creare anche qui una diffusissima cultura mafiosa per cui anche chi mafioso non è finisce per vedere in loro un modello da seguire. E qui torniamo ai giovanissimi. Non deve meravigliare che questi ragazzi sabato siano entrati in discoteca armati fino ai denti. Nessuno li ha controllati perché sono loro ad avere il controllo della situazione. Le discoteche, inoltre, sono i luoghi in cui si pratica lo spaccio e si misurano i rapporti di forza tra gruppi malavitosi.

La tragedia di sabato sera, dunque, si è consumata anche nell'ambito di un "confronto" tra esponenti dei clan? In fondo Michele Lavopa ha raccontato agli inquirenti di essersi recato in discoteca "senza intenzioni belligeranti" ma di avere portato con sé una pistola "per difendersi da eventuali aggressioni".

Michele Lavopa, reo confesso dell'omicidio di Antonella Lopez, si è costituito grazie all'insistenza della mamma. Ai magistrati ha raccontato che l'episodio di sabato sera è la conseguenza indiretta di una lite di 6/7 anni fa, quando esponenti del clan dei Palermiti lo pestarono. Da quel momento in poi lui ha iniziato a circolare armato. A questo punto è evidente che l'elemento repressivo non basta a fermare queste dinamiche, che serve ben altro.

Michele Lavopa
Michele Lavopa

In che modo i social contribuiscono a rendere "virale" tra i giovanissimi il modello mafioso?

Qui c'è un diffusissimo disagio giovanile, siamo in un territorio molto fragile in cui le politiche educative, culturali e lavorative sono debolissime. In questo contesto i clan rappresentano un modello di vita "vincente". I rampolli delle famiglie della mafia barese ostentano sui social un modo di vivere irraggiungibile ai loro coetanei, fatto di abiti firmati, auto potenti, lusso sfrenato e calici di champagne in discoteca. Sui social viene mostrata una vita facile. In un periodo storico di crisi come questo, con tanti giovani che faticano a immaginare un futuro, i boss dei clan ti dicono: "Anche tu puoi fare soldi facili". E qualcuno ci casca.

Alcune famiglie criminali sono gestite da ragazzi di vent'anni? Sono loro ad amministrare e gestire affari di milioni di euro, come quelli legati allo spaccio?

Sì, i ragazzi dei clan gestiscono molto denaro e lo fanno soprattutto grazie al traffico di droga. Se ne parla poco, ma gli stupefacenti si stanno diffondendo a macchia d'olio e oggi, rispetto al passato, non esistono nemmeno più le piazze di spaccio. Al contrario, la droga circola tra amici, fidanzati, nei luoghi della movida. Praticamente è ovunque.

La repressione evidentemente non basta. Quali sono le responsabilità della politica?

La scorsa settimana è stato scritto un decreto legge che mira a colpire chi manifesta, chi difende i diritti sociali, chi vuole proteggere l'ambiente. Si criminalizzano i soggetti che vogliono darsi da fare per il soccorso e l'accoglienza dei migranti. Insomma, si colpiscono quei giovani che intendono costruire un cambiamento positivo e un futuro solidale e sostenibile.

Intanto, però, si sottraggono di anno in anno gli strumenti per colpire le mafie.

Questo è un dato politico su cui siamo chiamati a riflettere. E su questo noi che viviamo nei territori siamo incazzati: le forme di diseguaglianza aumentano sempre di più, la povertà si diffonde. E per finire, come non vedere le connivenze dei politici con i gruppi criminali, che fanno loro comodo per ottenere consenso elettorale in cambio di favori e appalti? E ancora: come ignorare l'erosione dei diritti sociali, la scarsità delle politiche giovanili e lavorative? Al sud ci riempiamo la bocca con la crescita del turismo. Ma come mai il turismo non innesca una crescita anche per i nostri ragazzi e ragazze? Ho come la sensazione che anche in quel settore stiano investendo le mafie. Così, anziché essere un'opportunità di crescita per tutti, il turismo lo è solo per qualcuno, i soliti.

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