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Vi racconto cosa significa aspettare 5 giorni un porto sicuro per chi ha visto morire i propri bimbi

Oltre trenta morti, tra cui almeno dieci bambini. Una donna incinta senza vita coperta da un telo, a bordo della Geo Barents. Famiglie che hanno visto morire i propri bimbi. E un attesa estenuante di cinque giorni per chi sta vivendo l’inferno in terra.
A cura di Natascia Grbic
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"Ci hanno assegnato un porto dove sbarcare a cinque giorni dal soccorso e dopo quattro richieste. Dobbiamo arrivare a Taranto, che si trova a ventiquattro ore di navigazione. Ventiquattro ore in più di sofferenza e trauma, in una situazione non rispettosa di quello che i naufraghi hanno vissuto". A parlare dalla Geo Barents è Fulvia Conte, coordinatrice dei soccorsi per Medici senza frontiere (Msf). Il 27 luglio, lunedì pomeriggio, l'unità di soccorso della nave si è calata in mare dopo la segnalazione di un naufragio nel Mediterraneo. In acqua c'erano decine di persone: alcune provavano a tenersi a galla, altre erano incoscienti, altre ancora venivano trasportate dalla corrente. Altre, erano ormai annegate. Il bilancio è di circa settanta persone salvate e trenta disperse, tra cui trenta bambini. Una donna incinta è morta sulla nave: invano i medici hanno provato a rianimarla. La donna si è spenta, e con lei il suo bambino. Una neonata di quattro mesi è stata rianimata e trasportata immediatamente a Malta insieme alla madre. Le sue condizioni non sono al momento note.

La Geo Barents fa rotta verso Taranto: "Attesa estenuante"

Il corpo senza vita della donna incinta è ancora a bordo della Geo Barents, insieme a donne e uomini che hanno vissuto l'inferno e perso i propri familiari. Una ragazza ha perso entrambi i suoi bambini, spariti tra i flutti. "Queste persone partite dalla Libia sono state nei centri di detenzione, nel deserto. E ora questo", spiega Conte. "Abbiamo fatto quattro evacuazioni mediche in Sicilia di persone che avevano gravi ustioni da carburante. Quando chiediamo un posto per poter sbarcare non facciamo altro che applicare il diritto internazionale, che dice di dover dare immediatamente un porto sicuro alle persone salvate. L'attesa di cinque giorni e la destinazione di un porto così lontana è qualcosa che a nostro avviso è molto grave e non auspicabile come modalità di gestione di sbarco.

"La Libia non è un porto sicuro: serve una missione europea"

In un nuovo rapporto pubblicato dalla Missione indipendente delle Nazioni Unite sulla Libia, vengono messi in luce i crimini contro l'umanità perpetrati nel paese dallo scoppio della guerra avvenuto nel 2016. Sistematiche violazioni dei diritti umani perpetrate soprattutto nei centri di detenzione, il cui accesso finora è sempre stato negato ai funzionari Onu. Si legge nel rapporto che "le prove raccolte dimostrano l'uso sistematico della detenzione arbitraria prolungata, nonché atti di omicidio, tortura, stupro e altri atti disumani contro la popolazione prevalentemente civile di queste carceri, compresi i gruppi vulnerabili". "L'Europa è ben cosciente della situazione in Libia – spiega Conte – Ogni anno le persone fuggono ed è ora di smettere di trattare queste morti in modo emergenziale. Questa non è una situazione eccezionale. Il finanziamento della guardia costiera libica e la non messa in atto di una missione di ricerca e soccorso condivisa a livello europeo nel Mediterraneo centrale porta a mancanza di salvataggi, ai respingimenti della guardia costiera libica e ai morti. Riportare le persone in luoghi dove vengono imprigionate e i loro diritti violati non è soccorso. Le persone sono soccorse quando vengono fatte sbarcare in un porto sicuro. E la Libia non lo è".

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