Veronica Panarello e Anna Maria Franzoni, madri assassine così diverse
Anna Maria Franzoni, 30 gennaio 2002, Cogne. Veronica Panarello, Santa Croce Camerina, 29 novembre 2014. Anna Maria e Veronica. Entrambe sono mamme assassine, entrambe hanno ucciso i loro bimbi, Samuele, 3 anni, e Loris 8. Ma qui finiscono le analogie tra queste due donne che hanno commesso il crimine più atroce che una mamma possa commettere: uccidere i propri figli.
Forse, a ben vedere, c'è un altro elemento che le accomuna: la rabbia. Entrambe si sono trasformate in assassine in un momento di rabbia profonda. Nel 2008 gli psicologi spiegarono molto bene cosa aveva spinto la Franzoni a uccidere: fu il risveglio inaspettato del piccolo Samuele. Il bimbo si mise a piangere e lei doveva correre allo scuola bus con Davide. Non resse allo stress. Scrissero gli psicologi: “L'organizzazione delineata da una persona puntuale e isterica come la Franzoni rischiava di restare bloccata per colpa di Samuele e dei suoi capricci, per altro molto frequenti… la ribellione del bimbo diede avvio alla reazione violenta dell'imputata, ansiosa, sofferente, stanca e arrabbiata, dopo una notte in bianco e affollata di incubi… In preda all'ansia ha agito contro il bambino a scopo punitivo, lasciandosi trasportare da incontrollata ira sino al selvaggio omicidio”.
A quanto pare, dal momento che il giudice, condannandola a 30 anni, non ha dato a Veronica Panarello la premeditazione, anche lei ha agito in un momento di rabbia dopo che Loris si era rifiutato di andare a scuola, distruggendo quelli che erano i suoi programmi per quella mattina, tra cui frequentare il suo corso di cucina. L'accusa aggiunge che da qualche tempo la donna sarebbe stata furiosa con il suo primogenito perché aveva scoperto la relazione tra lei e il suocero e aveva promesso di riferirla al padre quando fosse tornato a casa.
Qui, davvero finiscono le analogie tra queste due donne. Anna Maria era ed è a tutt'oggi una mamma premurosa e affettuosa. Lo dicono gli esperti, che dopo solo 8 anni di carcere l'hanno lasciata tornare a casa ai domiciliari, a Ripoli Santa Cristina, sui colli bolognesi. E soprattutto Anna Maria Franzoni è una moglie innamorata del proprio marito e lo è sempre stata, ricambiata. Stefano Lorenzi le è sempre stato accanto, l'ha difesa e tutelata sin dal primo momento. Di più, si legge nelle carte dei servizi sociali, che hanno seguito la famiglia Lorenzi per la concessione degli arresti domiciliari, e continuano a farlo: “La dedizione e la sensibilità dimostrata da Stefano Lorenzi sono straordinarie. Nella prospettiva di un ritorno in famiglia, il marito si è impegnato a riconsiderare l'organizzazione della sua attività lavorativa, limitando ulteriormente gli spostamenti a quei comuni e territori che gli consentano sempre il rientro pomeridiano e serale presso l'abitazione famigliare…”. E ancora: “La coppia è coesa, legata da affetto sincero e reciproca fiducia e capace di ben gestire gli anni, difficili, della detenzione della donna, creando una vasta rete di supporto e garantendo ai figli un ambiente sereno, adeguato alle loro esigenze e protettivo”. Può sembrare incredibile, ma Anna Maria Franzoni è per gli esperti una brava mamma.
Veronica Panarello, invece, è una giovane donna con un passato difficile, di estrema povertà, una situazione famigliare complicata, ben lontana da quella serena della Franzoni, e un presente confuso. Per gli psichiatri è capace di intendere e volere, ricorda bene l'omicidio del figlio, solo che ha sommerso gli inquirenti di bugie e racconti fantasiosi. La menzogna sembra un dato costante della sua vita sin da quando, ragazzina, accusò uomini innocenti di averla molestata. E' stata capace di sbarazzarsi del corpo del suo Loris, di gettarlo in un canale e poi di fingere una vana ricerca. C'è, inoltre, il sospetto, ormai quasi una certezza, che tradisse il marito con suocero, una relazione che il piccolo Loris avrebbe scoperto e promesso di rivelare al proprio padre. Poi, gli psichiatri spiegheranno con il tempo cos'è scattato nella testa di questa mamma, ma di certo sulla sua condanna a 30 anni hanno pesato le bugie e la mancata confessione nonostante la mole di prove raccolte, tra cui le immagini delle telecamere della sua cittadina, testimoni mute del delitto. Veronica non si proclama innocente perché non ricorda, non riesce, non può rammentare quel crimine tanto atroce, come è accaduto Anna Maria Franzoni, ma per salvarsi. Tentativo fallito, dopo la pesante condanna rimediata. E ora è certamente sola, senza il supporto del marito, Davide Stival.
La battaglia giudiziaria di questa mamma, in realtà, è appena cominciata: ci sono ancora due gradi di giudizio e prima che venga messa la parola fine (la Franzoni alla fine fu cindannata a 16 anni) tutto può essere riscritto. Quel che si può auspicare per lei, colpevole del crimine davvero più atroce, è che il carcere faccia il suo dovere: la rieduchi e la porti al ravvedimento proprio com'è accaduto con Anna Maria Franzoni. Lei dopo 8 anni è tornata libera proprio perché la restare in prigione sarebbe stato inutile. L'articolo 27 della Costituzione stabilisce che la pena non può consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e deve tendere alla rieducazione del condannato. Ebbene, rimanere in prigione per la Franzoni sarebbe stato inumano, inutile e degradante: il carcere l'ha migliorata e guarita, sebbene non l'abbia indotta ad ammettere la sua colpevolezza. E allora, pur nella consapevolezza che è un'assassina ancora fragile, meglio lasciarla tornare a casa dai suoi cari, con le dovute precauzioni, ossia continuando a farla seguire psicologicamente. Quello che hanno fatto giudici, esperti, assistenti sociali a Bologna, che potrebbe essere definito un esperimento, chissà forse potrà aiutare anche Veronica Panarello, pur con tutte le differenze tra le due donne e senza facili parallelismi tra i crimini che hanno commesso.