Non bisogna necessariamente essere atei (chi scrive lo è) per rendersi conto che la frase «dopo Auschwitz, il cancro è un'altra prova che Dio non esiste» scritta dall'oncologo ed ex ministro della Salute Umberto Veronesi nella sua biografia finisce per occultare un'altra storia, ancora più dura e devastante. La verità di colui che studia e tenta di guarire i tumori sparisce davanti alla sofferenza di una famiglia in una corsia d'ospedale. Aspettando, quasi sperando (con enormi sensi di colpa) che la vita di un caro si spenga, pur di non trascinarla attraverso dolori lancinanti, nel Male che divora, scava, devasta.
La morte, questa sofferenza finale che cauterizza l'animo di chi vi assiste, non lo guarisce affatto – «piaga per allentar d'arco non sana», scriveva Francesco Petrarca – quando parliamo di cancro, d'un male le cui ragioni scatenanti sono ancora troppo oscure, è nei credenti individuata come il segno d'una Mano pietosa dall'alto che impedisce ulteriori accanimenti. Ma lo scatenarsi della malattia, quello, è imputabile solo ad una natura matrigna o all'intervento sregolato dell'uomo che ha avvelenato terra, acqua, aria, moltiplicando le possibilità di malattia? C'è stato Auschwitz, diceva Primo Levi, quindi non può esserci Dio. Il lager fu volontà degli uomini, di taluni uomini, nel silenzio di (tanti) altri uomini. Il cancro non è assimilabile alla messa in atto della "soluzione finale" hitleriana, odio di persone contro persone, piano di disumanizzazione di persone verso altre persone, volontà di renderle stücke, pezzi, da mandare al forno, alle docce, ai lavori. Il cancro può colpire chiunque, indipendentemente dalla classe sociale, non fa differenza alcuna. E grande responsabilità del diffondersi di patologie oncologiche è nel disastro che ha portato avanti l'uomo. In Italia una rappresentazione plastica di quel che definiamo responsabilità dell'uomo in quest'ambito è la Terra dei fuochi. Dio non esisterà, ma l'uomo in quel perimetro della morte c'era, eccome. Veronesi che ne pensa?