Vanna e il suo progetto umanitario che salva centinaia di bambini di Chernobyl
Ha perso un figlio nel 1997, il primogenito, Matteo Fusi, ma è riuscita a superare il più difficile dramma personale che una madre potrebbe affrontare. Parliamo della storia di Vanna Vanni, una donna di 64 anni che vive a Tavernelle Val di Pesa, in provincia di Firenze. Oggi la donna è riuscita a creare un progetto umanitario che porta il nome del primogenito perso nel 1997, venti anni fa. Il gruppo si occupa dell'ospitalità di bambini bielorussi provenienti dalla regione di Gomel e ha coinvolto tante persone. Un progetto unico nel ricordo del figlio che perse la vita in un incidente stradale.
L'incidente
Il 6 settembre 1997 Matteo Fusi aveva da poco compiuto 20 anni. Sarebbe dovuto partire per l'Inghilterra, per un viaggio studio. Quella sera per festeggiare la partenza andò a cena con due amici. Su una curva, in salita, la macchina slittò e lui non aveva la cintura di sicurezza allacciata. Nell'impatto Matteo andò a sbattere la testa nell'intelaiatura e andò in coma. Dopo 5 giorni di coma il ragazzo morì.
Il progetto
Il progetto umanitario ‘Matteo Fusi' nasce dall'idea di Vanna Vanni, che insieme all'aiuto del marito Fabrizio, noto imprenditore di Tavarnelle, e dei tre fratelli di Matteo, volevano far rivivere il nome di ‘Teo'. L'associazione si occupa dell'accoglienza dei bambini di Chernobyl. Era già nata a pochi anni di distanza dall'incidente nucleare del 1986. Con l'ingresso di Vanna e Fabrizio il progetto ha ripreso vita grazie ai soldi dell'assicurazione per la morte di Matteo. Vanna e Fabrizio sono diventati i coordinatori e i maggiori sostenitori del progetto, caricandosi le spese per il viaggio aereo di andata e ritorno di tutti i bambini, nonché degli insegnanti e degli interpreti che li accompagnano.