Valerio Verbano, trentun’anni dopo il DNA dell’assassino
Gli anni di piombo furono violenti, spietati, spaventosi ed incomprensibili. Si poteva morire per caso, a causa di una bomba, o durante gli scontri di piazza; si poteva morire per le proprie idee politiche, sorte che poteva toccare al Presidente del Consiglio come al più sconosciuto degli studenti-attivisti. Valerio Verbano aveva 19 anni quando venne assassinato il 22 febbraio del 1980 da un commando composto da tre uomini di cui, a tutt'oggi, non si conoscono i volti; coperti dai passamontagna ed armati di pistole con silenziatore, fecero irruzione nella casa del ragazzo intorno alle 13. A Carla e Sardo Verbano dissero di essere amici del figlio e di volerlo aspettare per fargli alcune domande; i coniugi vennero legati ed imbavagliati.
Passarono i minuti, cinquanta lunghissimi minuti, durante i quali i tre rovistarono in camera del giovane; poi il rientro, i genitori che non poterono fare altro se non sentire i rumori della colluttazione, le grida, lo sparo che finì il loro unico figlio. Gli assassini si diedero ad una fuga rapidissima, facendo perdere per sempre le proprie tracce e lasciando alle spalle una serie di oggetti come un passamontagna, un cappello, una pistola col silenziatore, un guinzaglio per cani, un bottone, un paio di occhiali da sole.
Caso enigmatico, omicidio rivendicato successivamente sia da destra sia da sinistra, presumibilmente riconducibile ai Nuclei Armati Rivoluzionari, il gruppo terroristico di punta dell'estrema destra, i quali comunicarono dettagli che non potevano conoscere altri se non quelli direttamente coinvolti nella morte del ragazzo; numerose sono le ipotesi che, nel corso di più di trent'anni, sono state avanzate per fornire una spiegazione di questa assurda uccisione.
Le informazioni che Valerio Verbano aveva raccolto sul mondo neofascista romano, al tempo era usanza dei militanti documentarsi tramite delle indagini personali, si trovavano in un dossier pieno di dati e foto che scomparve e poi riapparve per sparire, infine, di nuovo, secondo la migliore delle tradizioni giudiziarie. Il giudice Mario Amato, impegnato in indagini sulla destra eversiva, era probabilmente a conoscenza del dossier o forse ne possedeva addirittura una copia: nulla che si possa sapere, giacché venne ridotto al silenzio anch'egli pochi mesi dopo Valerio, mentre aspettava l'autobus per recarsi a lavoro a viale Ionio, poco distante da Via Monte Bianco, dove viveva la famiglia Verbano, nel quartiere Monte Sacro.
Ucciso per quel dossier, o per una vendetta in seguito ad alcuni violenti scontri di piazza, ucciso ad ogni modo da quegli anni violenti. Oggi la notizia che sembra aprire una speranza per la risoluzione del caso, che possa dare, quanto meno, un volto agli assassini del ragazzo: grazie ai sofisticati esami condotti dai carabinieri del Ris, ad otto mesi dalla riapertura del caso, è stato possibile isolare alcune tracce organiche, probabilmente sudore, sul paio di occhiali da sole dimenticato. Solo su quello perché, nel frattempo, il passamontagna ed il cappello sono stati distrutti nel 1989 su disposizione del giudice istruttore.
Il prossimo passo sarà incrociare questo profilo genetico con quello dei maggiori sospettati; secondo Repubblica, che ha pubblicato la notizia, si tratterebbe di due uomini sulla cinquantina, al tempo, dunque, dei ragazzi, di cui uno vive all'estero da tempo e l'altro è un insospettabile professionista. Non resta dunque che aspettare: del resto, dopo trentun'anni, si impara ad essere pazienti. (fonte La Storia Siamo noi)