Usò la parola “zingaro” per discriminare in un testo giuridico: casa editrice condannata
Non si può associare gli zingari alla parola "delinquenza", tantomeno alla "vendita di merce di provenienza sospetta". Il Tribunale Civile di Roma ha infatti condannato una casa editrice – Gruppo Editoriale Simone – per ‘condotta discriminatoria’ verso rom e sinti. La pubblicazione incriminata – ritirata dal mercato – raccoglieva una serie di pareri motivati di diritto penale destinati alla preparazione di futuri togati tratta dell’“Acquisto di cose di sospetta provenienza”. In un passaggio, l’autore del testo giuridico faceva presente che se avete comprato un oggetto che “nonostante il suo notevole valore sia stato offerto in vendita da un mendicante, da uno zingaro o da un noto pregiudicato”, è probabile che all’origine ci sia un reato di ricettazione, e che si tratti perciò di “un incauto acquisto”.
Soddisfatta la signora D. S., appartenente alla comunità Rom, che studiando aveva letto il passaggio discusso all’articolo 712 del codice penale (‘Acquisto di cose di sospetta provenienza’) e s’è rivolta alla corte, “lesa nella dignità personale in quanto appartenente alla comunità criminalizzata”. Sollevate le organizzazioni che l’hanno accompagnata nella causa, Asgi e ‘21 luglio’. "Associare il termine zingaro alla commissione di reati contro il patrimonio di fatto diffonde uno stereotipo negativo, oltre che un preconcetto razziale privo di fondamento, secondo il quale i rom sono delinquenti per il solo fatto di essere rom" scrivono in una nota Associazione 21 e ASGI. Il Tribunale ha anche condannato la casa editrice a un risarcimento economico di mille euro nei confronti della gitana che ha fatto causa.