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Usare i figli contro i genitori: perché la sentenza contro l’alienazione parentale è fondamentale

La Corte di Cassazione ha dato ragione a Laura Massaro, riconoscendo come pseudoscientifica la teoria di alienazione parentale.
A cura di Jennifer Guerra
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La storia di Laura Massaro comincia nel 2014, quando il Tribunale di Roma affida suo figlio ai servizi sociali. Da quel momento per lei comincia un calvario che la vedrà diventare un esempio di resistenza contro l’abuso delle accuse di “alienazione parentale”, un calvario che si è concluso il 24 marzo, con una sentenza storica della Cassazione.

Massaro infatti, dopo una difficile separazione dal marito con una denuncia per maltrattamenti, si è vista togliere la potestà genitoriale nel 2018 a seguito di una Ctu, una consulenza tecnica d’ufficio. Suo figlio non solo aveva manifestato paura nei confronti del padre, ma si rifiutava anche di incontrarlo, cosa che, secondo l’avvocato della donna Lorenzo Stipa, avrebbe scatenato in lui un “contenzioso vendicativo”, che l’ha portato a querelare Laura ben 27 volte. La giudice che seguiva il caso aveva quindi stabilito la necessità di una Ctu per indagare il motivo per cui il figlio non volesse più vedere il padre. La psicologa responsabile della consulenza aveva concluso che il bambino soffriva di Pas, sindrome di alienazione parentale.

Come ha spiegato il medico legale Maria Serenella Pignotti in una audizione davanti alla Commissione femminicidio, la Pas “non è né sindrome, né disturbo mentale, né malattia, ma una vera e propria ideologia, […] entrata a tappeto come una melassa, una melma, uno tsunami nei nostri tribunali”. Diffusasi negli Stati Uniti a metà degli anni Ottanta per opera della controversa figura di Richard Garner, la teoria dell’alienazione parentale sostiene che un bambino possa essere manipolato da parte di uno dei due genitori ai fini di rifiutare l’altro. Anche se viene spesso presentata come “sindrome”, la Pas non è inclusa nel DSM-5, il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali e non vi sono prove scientifiche a sostegno che si tratti di un disturbo o di una patologia.

Tuttavia, da circa una decina di anni il ricorso alla presunta Pas è diventato molto frequente nei casi delle separazioni giudiziali, tanto che la Commissione femminicidio sta analizzando più di 200 fascicoli di casi simili a quelli di Laura Massaro. La riforma sull’affido condiviso del 2006, infatti, ha introdotto il concetto di bigenitorialità, cioè il “diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo” con ciascuno dei genitori. Un diritto sacrosanto, ma che in molti casi arriva a scavalcare anche casi di violenza e maltrattamenti acclarati: per preservare il principio di bigenitorialità, non è raro che un giudice ignori le denunce e stabilisca che il figlio debba continuare a frequentare il genitore maltrattante. Nel caso di Massaro, la bigenitorialità è stata paradossalmente perseguita rimuovendo, di fatto, la figura di un genitore.

È già successo che questa decisione abbia condotto a esiti tragici: a gennaio di quest’anno Davide Paitoni uccideva il figlio di 7 anni Daniele nella casa del nonno, dove si trovava agli arresti domiciliari. In quel caso, la madre aveva denunciato Paitoni per maltrattamenti, ma il tribunale aveva stabilito che Daniele dovesse continuare a frequentare il padre. Nel 2005, Federico Barakat, di 9 anni, venne assassinato dal padre (denunciato 17 volte dalla madre) addirittura durante una visita vigilata all’Asl di Milano, mentre nel 2019 Gloria Danho, di soli due anni, fu uccisa dal padre maltrattante nella prima visita dopo la separazione. Il 24 marzo, nello stesso giorno della sentenza sul caso Massaro, Andrea Rossin ha ucciso i figli di 7 e 13 anni per poi suicidarsi. Si era separato dalla moglie, che secondo le ricostruzioni dei giornali “tormentava”, da soli 15 giorni.

Da anni le associazioni per i diritti delle donne e i centri antiviolenza sottolineano l’abuso delle Ctu e dell’alienazione parentale, che tra l’altro inibiscono molte donne dal denunciare i maltrattamenti per paura di vedersi sottratti i figli con l’accusa di essere madri “alienanti” o “malevoli”. Il problema, oltre che dalla Commissione femminicidio del Senato, è stato sollevato anche dal rapporto Grevio sull’attuazione della Convenzione di Istanbul, la convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica. A ottobre 2021, il Parlamento europeo ha inoltre votato una risoluzione a tutela dei minori in caso di affidamento, condannando il ricorso all’alienazione parentale.

Per questo la sentenza della Cassazione è molto importante: stabilisce che “il richiamo alla sindrome d’alienazione parentale […] non può dirsi legittimo, costituendo il fondamento pseudoscientifico di provvedimenti gravemente incisivi sulla vita dei minori”. Già altre sentenze passate avevano evidenziato il “controverso fondamento scientifico della sindrome Pas”, sottolineando come le decisioni dei tribunali che vi ricorrevano si fondassero non sulla condotta della madre, ma su pregiudizi. Queste sentenze non erano bastate a fermare gli abusi, dato che secondo l’associazione Differenza Donna ogni anno ci sono almeno 100 nuovi casi. La speranza è che questa sentenza chiarisca una volta per tutte ciò che la Pas è diventata: l’ennesima forma di violenza istituzionale.

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Jennifer Guerra è nata nel 1995 in provincia di Brescia e oggi vive in provincia di Treviso. Giornalista professionista, i suoi scritti sono apparsi su L’Espresso, Sette, La Stampa e The Vision, dove ha lavorato come redattrice. Per questa testata ha curato anche il podcast a tema femminista AntiCorpi. Si interessa di tematiche di genere, femminismi e diritti LGBTQ+. Per Edizioni Tlon ha scritto Il corpo elettrico. Il desiderio nel femminismo che verrà (2020) e per Bompiani Il capitale amoroso. Manifesto per un Eros politico e rivoluzionario (2021). È una grande appassionata di Ernest Hemingway.
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