Oggi la sensazione sembra attutirsi, sfogliando siti e giornali, ma negli ultimi giorni la tossicità, la superficialità, il disarmo etico e la grancassa dell'informazione ha confezionato i peggiori morti degli ultimi anni. Novecento morti ad Haiti sono stati usati e sventolati semplicemente per colorare il rischio che avrebbero potuto correre gli USA e che ha causato 5 vittime in Florida. Questa è la fotografia di un federalismo dell'informazione che sta scavalcando vette inimmaginabili e non potabili. «I morti di Haiti spaventano gli USA", "Vento forte e pioggia spaventano Miami", "Bobo Vieri aspetta in casa l'uragano", "Allarme in Florida: 600.000 case senza elettricità", "L'uragano Matthew arriva in Florida e devasta un albergo" fino a "L'uragano Matthew fa chiudere Disney World. È la prima volta in 11 anni" sono alcuni tra i titoli urlati in queste ultime ore. I novecento morti (numero tra l'altro provvisorio e in continua crescita) sono solo una tappa, un capitolo minore, lo strascico della narrazione che conta.
Intendiamoci: gli USA (ma anche l'Europa) hanno telecamere, reporter, webcam, mezzi e soldi per grufolare in ogni piega di ogni possibile dramma rispetto alla cover Haiti e hanno un pubblico più folto e ricco a cui dare in pasto qualsiasi notizia (ovviamente monetizzandola) e gli USA hanno un loro posto nel mondo (e quindi nell'informazione) ben più spesso della piccola isola ispanica ma i morti, quelli morti per l'uragano, sono fatti della stessa pasta o no? Perché i conti (e la contabilità dei morti è terribile ma incontestabile) ci dicono che a quel migliaio di Haiti se ne aggiungono per ora (mentre scrivo) quattro americani. Mille a quattro è il risultato parziale. Mille a quattro.
Haiti me la ricordo calpestata da centinaia di telecamere nel gennaio del 2010: un terremoto di magnitudo 7 aveva raso al suolo la capitale Port-Au-Prince e centinaia di villaggi. II bambini coperti dalla polvere camminavano penzolando tra Loe macerie e l'isola pere una volta divenne la prima pagina del mondo. Quella volta, chissà perché, i morti vennero considerati commestibili dalla stampa internazionale e furono ribattuti da tutte le agenzie del mondo. Oggi a Haiti "la più grande urgenza al momento è fornire alla popolazione acqua potabile – dice Oxfam Italia- per prevenire la diffusione di malattie, così come cibo e altri beni essenziali. Nel lungo periodo temiamo una vera esplosione dei casi di colera e di malnutrizione dovuta alla perdita dei raccolti. C'è inoltre il rischio che a causa delle inondazioni si verifichino casi di malaria e dissenteria a cui i primi ad essere esposti sono le donne incinte e i bambini. In questo quadro è perciò necessario che la comunità internazionale si mobiliti prima possibile a sostegno della popolazione haitiana." Intanto l'uragano s'è fatto tempesta in attesa di tornare pioggia.
Sarebbe il caso di chiedersi di cosa sono fatti i morti. Scoprire esattamente quale sia l'ingrediente che li ritiene più o meno degni di essere portata del menù giornaliero dei media è la chiave per pulire l'informazione: serve la violenza o la distruzione? Ci sono. Serve la disperazione? Eccola. Servono gli elementi per una prolissa narrazione? Haiti è terra di schiavi liberati, perfetto. Servono donne e bambini? Eccoli, in fila. Serve una vicinanza geografica? Siamo a pochi chilometri dai golosissimi USA, non c'è problema.
Cosa manca ad Haiti per non essere semplicemente l'appendice della pioggia sugli USA? Questa è la domanda, ora.