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“Uomini come Turetta se non possiedono, non sono”: la criminologa sul femminicidio di Giulia Cecchettin

Il femminicidio di Giulia Cecchettin ha scosso l’opinione pubblica che in questi giorni sta manifestando la volontà di un cambiamento radicale nella prevenzione della violenza di genere. Intervistata da Fanpage.it la criminologa Antonella Delfino Pesce ha parlato di una diffusa cultura del possesso e della necessità di un’azione collettiva e capillare.
A cura di Eleonora Panseri
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Il femminicidio di Giulia Cecchettin, la ragazza di 22 anni uccisa dall'ex fidanzato Filippo Turetta, detenuto in Germania e in attesa dell'estradizione, accusato di omicidio volontario aggravato dal vincolo affettivo e sequestro di persona, ha scosso l'opinione pubblica che in questi giorni sta manifestando la volontà di un cambiamento concreto nella prevenzione del fenomeno della violenza di genere.

Un fenomeno sociale radicato, "un problema complesso che prevede soluzioni complesse", spiega a Fanpage.it la criminologa Antonella Delfino Pesce.

"Secondo l'Istat, il numero degli omicidi si è attestata sui 300 all'anno, negli ultimi anni. Di questi una parte più o meno stabile sono femminicidi. – ricorda l'esperta – "Il dato preoccupante è quello relativo alla percentuale di donne che vengono uccise in un contesto relazionale, da un partner o da un ex, che è aumentato in modo significativo".

Un dato che parte da una base relazionale, spiega ancora Delfino Pesce, "per questo è complicato, perché c'entrano tutti, nessuno escluso: la società in senso lato, la famiglia, la scuola, tutto. Non si può dire: ‘Individuo questo fattore come discriminante per l'aumento del femminicidio', perché è difficile individuare un solo dato. Ed è ancora più difficile prevenire".

La criminologa Antonella Delfino Pesce
La criminologa Antonella Delfino Pesce

Cultura del possesso: "Se non ti ho, non sono"

Gli uomini che uccidono una donna "se ne fregano dell'ergastolo, della logica, di dare un dolore enorme anche alla propria famiglia. A un certo punto decidono che se non hanno, non sono. Questo è uno dei meccanismi psicopatologici alla base del  femminicidio, su questo influisce molto la cultura del possesso e dell'accumulo, una società che ti dice che se non hai, non sei". Un meccanismo che potrebbe essere rintracciato anche nel comportamento di Turetta.

"Quando il soggetto si percepisce completamente dipendente dalla figura che ha trovato, fidanzata, compagna, moglie, scatta il meccanismo che gli fa pensare: ‘Senza di te, non esisto, quindi non devi esistere nemmeno tu. Se non puoi essere mia, non devi essere di nessun altro'".

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Ma anche la famiglia influisce. "Io non voglio puntare il dito contro il papà del ragazzo – dice la criminologa – ma in un'intervista ha detto una frase significativa: ‘Noi gli abbiamo dato tutto‘. Ma è proprio questo il problema: i ragazzi non capiscono il ‘no', non accettano di non avere quello che vogliono".

Le aggravanti della premeditazione e crudeltà per Turetta

Al momento Turetta non rischia l'ergastolo, la pena verrebbe inasprita solo nel caso in cui gli venissero attribuite le aggravanti della premeditazione e della crudeltà. Spiega Delfino Pesce: "Sarà la procura a decidere in questo senso. Anche se è chiaro che se uno si porta dietro un coltello diventa difficile opporsi alla premeditazione. Perché se nel corso di un litigio do un pugno a una persona e questa cade, sbatte la testa e muore, è un conto. Ben diverso è se invece mi sono portata dietro una pistola".

Secondo la criminologa, questi fattori escluderebbero anche la possibilità di richiedere l‘infermità o la seminfermità mentale. "In questo caso bisogna riuscire a dimostrare che in quel momento il ragazzo fosse incapace di intendere e di volere, e sottolineo ‘in quel momento'. Cosa che resta indimostrabile di fronte al coltello di cui prima, alle ricerche per capire come scappare o l'acquisto di beni per la sopravvivenza. Poi posso essere richieste delle perizie ma, per fortuna, non è facilissimo, a dispetto di quello che si crede".

"I segnali nel caso di Turetta c'erano"

Dopo il ritrovamento del corpo di Giulia Cecchettin, è crollata l'immagine del "bravo ragazzo" che Turetta si era costruito agli occhi dei conoscenti, convinti del fatto che non potesse mai fare una cosa del genere, visto che, raccontavano, non aveva mai dato problemi.

"I segnali magari c'erano ma non erano quelli che si aspettavano. – osserva Delfino Pesce – La litigata non deve essere eccessiva, che sia con il genitore o il coetaneo, ma non deve nemmeno non esserci mai. Una persona che non sfoga, reprime e qui bisogna stare attenti. C'è infatti un momento in cui l'adolescente inizia a percepisce non più solo come figlio e inizia a tastare il terreno. E a quel punto la società deve essere accogliente, ma anche limitante".

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La società però recentemente sembra aver mostrato una sorta di disattenzione e di assuefazione rispetto a questo tipo di problematiche. "Di queste situazioni solidali però io ormai ne vedo pochissime. L'idea attuale è che tanto non capita a me, succede agli altri. C'è un'idea un po' individualista, in cui mi riconosco anche io, ovviamente. Pensiamo sempre che certe cose non ci riguardano e quando capitano a noi direttamente ci svegliamo da questo torpore", aggiunge.

L'importanza della prevenzione

Il problema maggiore resta il come fare per estinguere questo comportamento. Ma, come spiega la crimonologa, "di solito chi mette in atto un comportamento abusante non se ne rende conto e in alcuni casi, anche se se ne accorge, non se ne interessa. Sono le persone intorno che devono vedere questi atteggiamenti, ci dovrebbe essere un supporto sociale, sia a livello di istituzioni che a livello di singoli".

Ma sarebbe proprio questo sostegno sociale, che si è avuto in altre situazioni in passato, ciò che manca. "Le istituzioni devono mostrare la volontà di destinare risorse a questo problema. Siamo tutti bravi a dire: ‘Dobbiamo dare l'ergastolo', ma non è quello che risolve e fa prevenzione. Ci vuole impegno e tempo per un cambiamento a livello sociale".

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