Una strage al giorno: da dove nasce quest’onda di “paura liquida” che fa gioco all’Isis?
Una strage al giorno, questo sembra essere diventato il tragico panorama di un’estate insanguinata. Non c’è il tempo di assimilare un massacro in Europa o in Medio oriente che arrivano informazioni di un’ennesima mattanza in Afghanistan o addirittura in Giappone. E di nuovo dalla Francia giungono notizie orribili di un assalto ad una chiesa cattolica a Rouen, dove due attentatori, inneggiando allo Stato islamico, hanno sgozzato il sacerdote e ferito gravemente altri tre fedeli prima di essere uccisi dalle forze speciali francesi. Da Monaco a Reutlingen, passando per il festival di Ansbach e il treno a Wurzburg, gli attacchi della scorsa settimana hanno gettato nel caos la Germania e l’intera Europa.
L’isteria collettiva che sta segnando il nostro continente – solo ieri ci sono stati allarmi bomba a Londra, Milano e Ventimiglia – rischia di avere delle conseguenze ancora più terribili degli stessi attentati. La reazione ai recenti attacchi, vi fosse o meno un legame con il terrorismo di matrice islamista, ha il pericoloso effetto di fare esattamente il gioco dell’Isis che si nutre proprio di questa strategia della tensione. William McCants, uno studioso della Brookings Institution e autore di "The ISIS Apocalypse", afferma che esiste un grande numero di "uomini e donne che non hanno legami organizzativi con lo Stato islamico, ma uccidono in suo nome”.
Questi criminali, non particolarmente religiosi, spesso dei disadattati sociali, sono descritti come “ribelli in cerca di una causa”. "Ogni attacco è discusso all'infinito in televisione e sui social media – sostiene McCants – aumentando così il timore di futuri attentati, con la conseguenza di rendere i cittadini ancora più spaventati”. L’amplificazione degli atti di terrore sui media tradizionali e sui social, inoltre, sembra aver creato una vera e propria “corsa alla strage”, per cui uccidere non basta più: bisogna mietere più vittime possibili. Un delirio di onnipotenza di menti squilibrate, narcisistiche – come quella di Mohamed Lahouaiej Bouhlel, l’attentatore di Nizza – unito ad un’ideologia nichilista, che inneggia alla morte, come quella dello Stato islamico.
Gli autori delle recenti stragi, sia che abbiano agito dopo essere stati influenzati dalla jihad sia a causa di un disagio personale e sociale, hanno pensato di risolvere le loro frustrazioni attaccando dei civili inermi. L’odio, dunque, come molla per uccidere. Gli attentatori, è risaputo, dimostrano un totale disprezzo per la vita umana. Il terrorismo tuttavia – e quello di matrice islamica non fa differenza – rappresenta l’utilizzo della violenza a fini politici. Chi condiziona, plasma, in poche parole, spinge questi assassini a compiere un attentato agisce con una strategia calcolata e razionale, volta a destabilizzare politicamente gli Stati obiettivo del terrore. Dimostrare che i governi sono incapaci di proteggere i loro cittadini è il loro obiettivo, come è stato più volte ribadito nelle farneticanti rivendicazioni dei terroristi. Mohammed Delel, il kamikaze che ha cercato di compiere un massacro al festival di Ansbach, ha lasciato un video nel quale dichiara di aver agito per "vendetta contro la Germania per i bombardamenti contro il Califfato” e, minacciando nuovi attentati, lancia un avvertimento: “Non vi sarà più possibile dormire tranquilli dentro le vostre case”.
Tutti gli esperti di sicurezza al mondo coincidono su un punto: è difficile, se non impossibile, fermare qualcuno che non ha paura di morire. Le difese servono a poco se chi ha deciso di compiere un attentato non è spaventato dalla morte, anzi la considera una liberazione o una ricompensa. E allora, dovremmo imparare dei versetti del Corano per farci trovare preparati nell'eventualità di un sequestro come accaduto ai nostri connazionali a Dacca? Dovremmo accettare senza riserve limitazioni della libertà in nome della sicurezza? Oppure dovremmo evitare concerti, stadi, viaggi in treno e aereo? O addirittura dovremmo arrivare a espellere tutti i musulmani dal suolo europeo, come qualcuno si è già affrettato a proporre?
L’imprevedibilità di fronte alla violenza brutale, l’impossibilità di comprendere a fondo questa minaccia, lasciano appunto più domande che risposte. E’ lo stato di incertezza a generare la paura maggiore. Zygmunt Bauman, uno dei filosofi più importanti del nostro tempo, riferendosi agli ultimi attentati e alla reazione della popolazione, parla di “paura liquida”. “I pericoli sono sempre esistiti – sostiene – ma oggi le cose sono diverse. Viviamo in uno stato di incertezza continua, ed è questo aspetto a spaventarci di più”. "Stiamo camminando – afferma con una metafora – su un campo minato. Siamo consapevoli che il campo è pieno di esplosivi, ma non sappiamo dove e quando ci sarà un'esplosione. E non esistono neppure delle solide strutture su cui possiamo contare, verso cui possiamo indirizzare le nostre speranze e aspettative”. Questa percezione del rischio legato al terrorismo produce degli effetti immediati: aumenta l’intolleranza, la xenofobia e i pregiudizi. Esattamente l’obiettivo del sedicente Califfato islamico che punta alla radicalizzazione e al desiderio di vendetta degli emarginati di fede islamica siano essi cittadini europei, statunitensi o mediorientali.