È una devastazione continua, un genocidio lento e silenzioso: in Siria la guerra continua mietere vittime lasciando l'Europa alla commozione breve di fronte a qualche bambino ferito. La mobilitazione questa volta però non arriva solo dalle associazioni umanitarie ma la lancia Shady Hamadi, lo scrittore italiano di padre siriano che da tempo si impegna nella difesa dei diritti dei cittadini siriani.
«Da anni – si legge nell'appello – è stato chiesto da più parti che la comunità internazionale, in un’ottica di de-escalation del conflitto e di salvaguardia dei civili, imponesse una “No fly zone” sui cieli siriani, per limitare le perdite di vite umane. Questa proposta è stata interpretata da alcuni come il primo passo per legittimare un intervento militare estero nel conflitto siriano, cosa di fatto accaduta direttamente (con l’intervento dell’aviazione russa che martella molte località siriane, fra le quali Aleppo e Idlib) e indirettamente (con il coinvolgimento di molte potenze mondiali o regionali che hanno supportato milizie o inviato combattenti)».
Sono in molti ad avere aderito fin da subito: gruppi politici (Pippo Civati e il suo movimento ‘Possibile che ospitano l'appello, Giusi Nicolini) ma soprattutto uomini dello spettacolo e di cultura come Alessandro Gassman, Eugenio Finardi e poi scrittori come Michela Murgia, Giuseppe Catozzella, giornalisti come Alessandro Gilioli e Giovanni Tizian fino all'ex magistrato Antonio Ingroia e Giovanni Impastato.
«Della Siria possiamo stimare il numero di morti, feriti, scomparsi e sfollati ma incalcolabile è il danno psicologico e morale» ha dichiarato Hamadi. Ora la speranza è che aderiscano in molti e che la politica decida di farsene carico.
Ecco il testo dell'appello (si può aderire qui):
«La notte, mentre dormi, non sai mai se una bomba colpirà casa tua. Metti in conto che ti potresti risvegliare sotto le macerie. Ogni mattina, poi, mi ritrovo con i ragazzi della strada dove vivo. Beviamo il caffè e ci informiamo l’un l’altro sugli amici e i famigliari per sapere se qualcuno è morto nella notte, sotto un raid aereo, se gli altri sono stati risparmiati. L’umanità è finita ad Aleppo: vediamo morire una cinquantina di persone al giorno e ci siamo abituati» è quanto mi ha raccontato Assad Younes, giovane aleppino che ha scelto di rimanere nella città siriana, nonostante i continui bombardamenti dell’aviazione russa e siriana. Da anni è stato chiesto da più parti che la comunità internazionale, in un’ottica di de-escalation del conflitto e di salvaguardia dei civili, imponesse una “No fly zone” sui cieli siriani, per limitare le perdite di vite umane. Questa proposta è stata interpretata da alcuni come il primo passo per legittimare un intervento militare estero nel conflitto siriano, cosa di fatto accaduta direttamente (con l’intervento dell’aviazione russa che martella molte località siriane, fra le quali Aleppo e Idlib) e indirettamente (con il coinvolgimento di molte potenze mondiali o regionali che hanno supportato milizie o inviato combattenti).
Solo fra agosto e luglio, sono state almeno sei le strutture ospedaliere ad Aleppo colpite dai bombardamenti aerei russi e siriani. L’uso di bombe a grappolo, barrel bomb o al napalm è ampiamente documentato. Il 22 di agosto, sul sito Middle East Eye è apparsa una lettera firmata dalle “donne di Daraya”, sobborgo di Damasco, in cui raccontavano la quotidianità dell’assedio al quale loro, e circa 8000 persone, sono state sottoposte per oltre 1360 giorni, fino al 26 d’agosto, data in cui è stato raggiunto un accordo per l’evacuazione di tutta la popolazione e dei combattenti verso Idlib, località al Nord della Siria sotto costante bombardamento aereo. «L’11 agosto – scrivono le donne di Daraya – sono cominciati i bombardamenti e almeno 40 ordigni al napalm hanno colpito le zone residenziali. Il bombardamento ha distrutto uno scantinato pieno di legno, utilizzato dalla famiglia di Umm Mahmoud come ripostiglio e rifugio antiaereo. Ogni cosa all’interno è stata polverizzata – Umm Mahmoud è riuscita a scampare salvandosi. (…) Noi chiediamo che l’Onu e il Consiglio per i diritti umani intervengano immediatamente per fermare i crimini di guerra che il regime sta perpetrando contro la nostra città: essi includono i bombardamenti con barrel bombs e l’uso del napalm che causano danni materiali, orribili ferite fisiche e il terrore psicologico per noi e i nostri figli», concludeva la lettera delle donne di Daraya, in un estremo tentativo di appellarsi a una comunità internazionale che non avrebbe risposto.
Per questo, è importante agire ora, nell’ottica di dare un segnale ai siriani che le cose non continueranno ad andare di male in peggio. Se non è possibile per la comunità civile e politica internazionale, a cominciare dall’Unione Europea o dai parlamentari italiani a cui questo appello è rivolto, spingere per l’attuazione di una no fly zone, è invece possibile chiedere a gran voce che le infrastrutture, come ospedali, scuole e alcuni centri abitati non vengano presi di mira dai bombardamenti aerei. Questo creerebbe dei luoghi sicuri dove la gente si potrebbe riparare dai bombardamenti indiscriminati.
Sta a tutti noi dimostrare che l’umanità può risorgere, a cominciare da Aleppo.
Primi firmatari:
Shady Hamadi, scrittore
Giuseppe Civati, deputato e segretario di Possibile
Elly Schlein, parlamentare europea, Possibile
Giulio Cavalli, attore e scrittore
Alessandro Gassman, attore
Michela Murgia, scrittrice
Giusi Nicolini, sindaca di Lampedusa
Gianni Biondillo, scrittore
Alessandro Gilioli, giornalista
Antonio Ingroia, avvocato, ex magistrato
Cisco, cantautore
Ivano Marescotti, attore
Giuseppe Cattozzella, scrittore
Alex Corlazzoli, giornalista e maestro
Eugenio Finardi, cantautore
Andrea Riscassi, giornalista
Giovanni Impastato, attivista antimafia
Giovanni Tizian, giornalista
Francesco Baccini, cantautore
(si può aderire qui)