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Un anno dopo l’alluvione in Emilia Romagna, il Governo non ha fatto nulla per prevenire nuovi disastri

È passato un anno dall’alluvione in Emilia Romagna, il Governo Meloni in 12 mesi non ha fatto nulla per prevenire nuovi disastri, mettere in sicurezza il territorio e mitigare gli effetti della crisi climatica.
A cura di Lorenzo Tecleme
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Prima la piena, poi il fango e, alla fine, la ricostruzione. Un anno fa la Romagna e parte dell’Emilia affrontavano una delle peggiori alluvioni della storia recente. Una perturbazione eccezionale stazionò per giorni sopra città come Cesena, Forlì, Faenza, Ravenna. In pianura i fiumi hanno sfondato gli argini travolgendo macchine, case, persone. Sull’Appennino il nemico si rivelarono essere le frane, che a migliaia hanno bloccato le strade e reso inabitabili gli appartamenti.

Ci sono paesi come Monzuno, sulle prime montagne bolognesi, che rimangono isolati per giorni. A valle piccole comunità come Lugo o Sant’Agata sul Santerno, coperte dal fango, diventano il simbolo dell’evento. La macchina dell’allarme funziona, stavolta sono poche le polemiche sul ritardo delle autorità, ma non evita la tragedia. Il bilancio finale è di diciassette morti e dieci miliardi di danni.

Un anno dopo, è tempo di bilanci. Assieme agli indennizzi agli alluvionati, sul cui ritardo molto si è scritto, c’è il tema della ricostruzione. Cosa si è fatto per evitare che qualcosa di simile si ripeta? "Nulla, non si è fatto nulla", è la risposta di Gabriele Bollini, docente di progettazione e pianificazione sostenibile presso l’Università di Modena e relatore di una proposta di legge urbanistica per l’Emilia Romagna promossa da Legambiente e Rete Emergenza Climatica e Ambientale.

Prevenire tragedie come quelle dell’alluvione in Romagna è un lavoro che si compone di due fasi. La prima è l’adattamento del territorio, che comprende la lotta al dissesto idrogeologico di cui molto parla la politica. È l’insieme di quegli interventi che rendono le comunità sicure, adatte ad affrontare eventi meteorologici estremi. L’altro lato è la mitigazione.

È unanime il consenso della comunità scientifica sul fatto che il riscaldamento globale renda determinati fenomeni meteorologici – grandi piogge, ma anche siccità – più frequenti. Ridurre le emissioni che alterano il clima significa evitare un aumento indiscriminato di questi eventi nel futuro. "Partiamo dalla sicurezza del territorio. Il 22 aprile la giunta regionale ha preso atto del piano provvisorio del Commissario speciale sulla prevenzione. Era un documento da preparare mesi fa, dopo l’estate, invece è arrivato solo ora. A giugno dovrebbe essere pubblicata la versione definitiva".

Cosa dice questo piano? "Ciò che abbiamo sempre sostenuto con le proposte urbanistiche presentate negli anni. Non bisogna ricostruire, ma riprogettare. Bisogna rallentare la corsa delle acque e, quindi, ridare spazio ai fiumi. Pensare di essere al sicuro semplicemente alzando gli argini o facendo manutenzione è un’illusione. Prendete l’alluvione nella piana toscana di novembre. Lì gli argini erano a posto, c’erano le casse di compensazione. Ma si è allagato tutto comunque. Il punto è che nelle alluvioni i corsi d’acqua si riprendono lo spazio che era loro. Un fiume come il Piave, ad esempio, arriva fino a tre chilometri di letto. Non significa che ci sia sempre tutta quell’acqua, ma che nei momenti eccezionali le piogge trovano spazio per sfogare. Se su quel letto costruissimo, ecco che arrivano i problemi". La strada del restituire terreno ai fiumi è spesso indicata dagli esperti. Ma le autorità ascoltano? "A Faenza, dopo l’alluvione, si stava per costruire su un terreno alluvionato. Per fortuna sono stati fermati".

Se sui territori è necessario riprogettare, a livello nazionale si pone il problema della crisi climatica. Sull’ipotesi che l’aumento delle temperature medie globali abbia giocato un ruolo nell’alluvione di un anno fa si dibatte ancora. Nei giorni immediatamente seguenti al disastro il World Weather Attribution, un centro di ricerca internazionale specializzato nell’analisi di eventi meteorologici estremi, pubblicò un pre-print, cioè uno studio non ancora sottoposto a revisione di altri scienziati. Quella ricerca stimò che un’alluvione simile in quella zona capiti una volta ogni 200 anni, e non trovò prove di un legame con la crisi climatica. Quattro climatologi italiani risposero con un articolo su un blog specializzato, contestando in parte le conclusioni dello studio e auspicando ulteriori indagini. Di certo rimane che l’IPCC, il massimo organo mondiale in campo climatico, prevede per l’area mediterranea una crescita di fenomeni meteo estremi proprio a causa del climate change.

"In queste settimane il governo italiano sta riscrivendo il piano nazionale su energia e clima", spiega Chiara di Mambro, responsabile decarbonizzazione del think-tank Ecco. "Ma le scelte sono contraddittorie: si blocca il fotovoltaico a terra, si danno incentivi ad auto non esattamente allineate agli obiettivi ecologici. Manca la governance".

La riduzione delle emissioni è un problema globale, ma le decisioni di un paese del G7 come l’Italia – tra i più industrializzati al mondo – sono particolarmente importanti. "Il governo continua a prendere impegni virtuosi a livello internazionale. Ma alla prova dei fatti non si traducono adeguatamente in politiche. Il clima deve diventare una priorità al pari, per dire, del Servizio Sanitario Nazionale".

Cosa succederà se trascuriamo il problema – chiediamo? "L’alluvione in Emilia Romagna è l’esempio perfetto. Vediamo già oggi gli effetti della crisi climatica, e se non la fermiamo peggioreranno: nubifragi certo, ma anche siccità e incendi".

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