Ucraini, russi e bielorussi compagni di squadra: “Calcio unisce, guerra non entra nello spogliatoio”
Santa Rita è un quartiere popoloso che si estende dalle propaggini del centro di Torino verso la densa periferia fatta da palazzi alti e caserme, separate tra loro dalla linea ferroviaria che va verso la Francia e scava profondi trinceroni tra i corsi della città. Qui, nascoste tra piccole fabbriche e auto parcheggiate, ci sono decine di campi da calcio a 11 che dal pomeriggio si riempiono di persone di ogni età che si infilano pantaloncini e calzettoni e corrono sui campi in erba sintetica.
La squadra che si riscalda prima di un'amichevole, in divisa Zeus completamente rossa, rossa come la bandiera dell'Unione Sovietica, è la USPR, l'Unione Sportiva Parlanti Russo, un gruppo di una trentina di giovani provenienti da quasi tutte le nazioni che facevano parte dell'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche fino al 25 dicembre del 1991, quando la bandiera rossa con la falce e il martello venne ammainata dal pennone più alto del Cremlino per sempre.
La squadra dell'ex Unione Sovietica non è però un'operazione nostalgia, ma è nata per questioni più pratiche, lo spiega bene Yuri Caridi, ascendenza russa, che nel 2018 (anno del mondiale in Russia, ci tiene a precisare) ha fondato la squadra in occasione del torneo Balon Mundial, la coppa del mondo delle comunità migranti che si svolge dal 2007 a Torino: "Volevamo fare la nazionale russa – spiega – ma non siamo riusciti a raggiungere il numero sufficiente di persone, così abbiamo pensato di fondare la squadra dei parlanti russi".
Yuri Caridi, che oltre a giocare a calcio suona il pianoforte e ha ottenuto da poco la laurea magistrale in Matematica, ha una sua idea molto chiara sul senso della squadra: "Il calcio come strumento sociale è stato fondamentale in questo periodo duro, un periodo di conflitto, un periodo di guerra appena fuori dai nostri confini. Lo sport ci ha aiutato a essere uniti e a essere amici, di non litigare tra di noi e anzi avere un bel clima dentro lo spogliatoio".
"La guerra non entra nello spogliatoio" conferma Igor Vinnik, ucraino, che ancora non parla bene l'italiano ma che sembra particolarmente contento di fare questa esperienza sportiva e umana: "Sono molto grato – racconta con la maglia rosso Unione Sovietica, ma con il logo di New York stampato sopra – di aver conosciuto persone, amici ucraini russi e tutte le nazionalità che ci sono in questo fantastico gruppo".
"Ucraini, Russi, Kazaki – prosegue Nicolae Savciuc, moldavo – tutti ragazzi per bene. Far parte di questa squadra è una cosa meravigliosa, siamo molte persone da tanti posti diversi e ognuno ride e scherza nella sua lingua e ognuno di noi ha la testa sulle spalle, ne parliamo serenamente senza conflitti tra di noi".
"I discorsi sulla guerra sono relativamente pochi – spiega Yuri Caridi – cerchiamo di tenerla lontana come una cosa che ci addolora. Il sentimento principale è la preoccupazione, perché capita che qualche compagno di squadra abbia parenti e amici coinvolti nel conflitto, sia in Russia che in Ucraina, da una parte e dall'altra del fronte. Sicuramente la preoccupazione è il sentimento principale".