Ucraina, Davide Grasso: “Ho combattuto Isis con i curdi, oggi non mi riconosco nel pacifismo assoluto”
Davide Grasso, 42 anni, è un ricercatore ed ex combattente Ypg, le Unità di Protezione Popolare curde che in Siria hanno combattuto contro Isis. Con lui riflettiamo della guerra in Ucraina, della legittimità della resistenza ucraina e delle posizioni del pacifismo di fronte all'aggressione russa, ma anche della difficoltà di una parte della sinistra radicale a riconoscere le responsabilità di Putin.
Hai combattuto in Siria assieme ai curdi delle Ypg, oggi sostieni che la posizione pacifista rispetto a quanto sta accadendo in Ucraina sia debole di fronte a una guerra di aggressione. Ci spieghi meglio?
Io prima di tutto non sono pacifista. La prima cosa con cui bisogna fare i conti è che la violenza a volte serve in alcune contingenze sociali e politiche, e che la guerra a volte è necessaria nella storia. Il dibattito per me è quando si può accettare di utilizzare la violenza, secondo quali principi e con quali limiti, piuttosto che immaginare di modificare la realtà del mondo senza mai ricorrere alla forza secondo un principio astratto. La posizione pacifista non violenta è stata difesa da Marco Tarquinio durante la manifestazione del Teatro Ghione ad esempio, una posizione in cui non mi riconosco. Uccidere altre persone è una cosa orribile e, l’esperienza mi ha insegnato, orribile è perdere sul terreno i propri amici. Diversamente dalle destre che tradizionalmente idealizzano la guerra dobbiamo chiederci in quali circostanze sia davvero inevitabile e necessaria. Una posizione più utile del pacifismo assoluto, perché una posizione integralmente non violenta toglie valore a molte delle conquiste storiche che sono state ottenute utilizzando anche la forza. Ravvedo poi una grande incoerenza nelle posizioni di tanti sedicenti pacifisti, molti dei quali hanno espresso solidarietà rispetto alla mia scelta di arruolarmi in un esercito e di combattere una guerra, un esercito popolare certo, le Ypg e le Forze siriane democratiche, ma che sempre conduce una guerra, tra l’altro anche in alleanza con gli Stati Uniti o con la Russia in momenti diversi e diversi scenari. O penso alla Palestina: non mi risulta che Moni Ovadia rispetto alla Palestina abbia una posizione per principio pacifista o che neghi il diritto alla resistenza. Credo che questa forma di pacifismo sia insostenibile in termini politici oggi e quasi sempre incoerente.
In molta sinistra c’è una difficoltà a riconoscere in Putin un avversario e il responsabile dell’invasione. Perché?
Ci sono due motivi credo. Il primo motivo è la difficoltà di molta sinistra di fare i conti fino in fondo con quello che è accaduto nel 1989. Rendersi conto che quello che è crollato non era un sistema difendibile, ma soprattutto che è caduto per una mobilitazione di popolo, in particolar modo con la mobilitazione degli studenti e della classe operaia dei paesi del socialismo reale. Non riuscire dopo trent’anni a discutere serenamente di questo, a “elaborare” il trauma, conduce oggi a questa forma di odio nascosto verso popoli che votano e si battono per modelli liberali, perché l’alternativa concreta che hanno è peggiore. Non ci si rende conto che noi dovremmo essere per forme di democrazia e eguaglianza ancora più ampie di quelle liberali, non detestare i popoli che hanno patito i fallimenti del socialismo reale e si sono liberati. Oggi nella sinistra pacifista o sedicente tale c’è chi è proprio filo Putin, i cosiddetti rossobruni che, come lui del resto, non riconoscono più una distinzione lungo l’asse destra-sinistra, e purtroppo si trovano a sostenere per lo più posizioni sovraniste e regimi fascistoidi in giro per il mondo, a partire da Assad in Siria. E poi c’è chi non è affatto affascinato da Putin e non sostiene il suo governo, ma resta visceralmente anti-occidentale.
In che senso?
C’è ovvero l’idea che l’Occidente – la cui visione monolitica è anch’essa discutibile – sarebbe il nemico assoluto. L’eredità giuridica, politica, culturale dell’Europa e degli Stati Uniti sarebbe il male assoluto, mentre tutti gli altri blocchi di potere altrettanto capitalisti e spesso molto più autoritari del mondo occidentale finiscono per essere considerati o migliori, o comunque oggetto di critiche eccessive. Un’idea molto strana per la sinistra che dovrebbe essere internazionalista. Come se il fatto che io abbia un passaporto italiano non dovrebbe farmi sentire vicino al mio coetaneo iraniano, che con coraggio e correndo dei rischi che sono molto maggiori dei miei, lotta contro l’oppressione che vive nel suo paese. Dovremmo invece rivendicare le libertà che abbiamo noi qua in Europa ad esempio, come un risultato delle lotte del movimento operaio e dei movimenti sociali, di secoli di lotte e sacrifici. Provare nei confronti delle libertà di cui godiamo una forma di odio nichilista, per non essere poi in grado di denunciare e combattere le forme di oppressione anche nel resto del pianeta, non riesco a capire cosa abbia a che fare con una qualsiasi idea di liberazione, uguaglianza, emancipazione.
Nei territori dove tu hai combattuto, in questi giorni è in corso una pesante offensiva della Turchia, in particolare contro i territori degli ezidi vittime di un vero e proprio genocidio da parte delle Stato Islamico…
L’autogoverno dei territori autonomi curdo-ezidi in Iraq, e curdo-arabi in Siria, sono un esempio perfetto per vedere come le grandi potenze non si fanno scrupoli a schiacciare modelli alternativi di convivenza tra i popoli e di società. L’offensiva della Turchia, con la complicità dei governi di Iraq, Iran e Siria, avviene mentre Erdogan ha il supporto sia dell’amministrazione americana, che sta fornendo anche nuove attrezzature militari, quanto della Russia, di Israele e dell’Arabia Saudita. Nel caso della rivoluzione del Rojava e dell’autodifesa degli ezidi massacrati da Isis, le grandi potenze si ritrovano a tutelare i loro interessi lasciando campo libero al proprio alleato turco. Per questo io credo che sarebbe necessario costruire un’idea di nazione democratica, un’idea di democrazia e di socialismo che siano all’altezza del XXI secolo, proponendo un’idea di società che sia una via d’uscita diversa da quella dei blocchi esistenti. Un simile modello dovrebbe essere ipotizzato anche dagli ucraini per le loro differenze interne. Per questo quanto messo in pratica dai curdi nel Rojava e il modello del confederalismo democratico, non è un qualcosa di esotico ma un modello che ci interroga direttamente.
Criticare l’amministrazione Biden e il ruolo della Nato non ti impedisce però di essere solidale con il popolo ucraino in questo momento…
Non solo non me lo impedisce ma ne è la diretta conseguenza. Chi cancella il popolo ucraino dall’equazione in questo momento sono coloro che riducono questa guerra a una contrapposizione tra Nato e Russia, e vorrei far notare che sono i vari editorialisti e politici liberali, tanto quanto alcuni pacifisti. In questo schema gli ucraini scompaiono. E non basta mi dispiace un’empatia generica perché stanno morendo sotto le bombe, quando una popolazione viene aggredita non capisco come si possa mostrargli solidarietà e allo stesso tempo non sostenerla attivamente per allontanare da sé il pericolo rappresentato dall’esercito invasore. Quando sento dire da Vauro che tutti coloro che combattono sono dei criminali, ritengo che questa sì è una posizione violenta. Io ho combattuto contro Isis con il sostegno degli Stati Uniti e anche della Russia e non mi sento un criminale. I soldati americani e inglesi durante la Seconda Guerra Mondiale erano criminali? Io credo che o si propongono, si costruiscono, opzioni politiche e sociali credibili, o rinchiudersi nella Torre d’Avorio della superiorità morale senza neanche essere in grado di sostenere delle posizioni quantomeno logiche non porti da nessuna parte. Soprattutto non si fa un buon servizio a chi vuole fermare l’escalation militare e scongiurare il perdurare e l’allargarsi del conflitto. Solo una posizione credibile di fronte alle ucraine e agli ucraini, che riconosca loro il diritto alla resistenza, può permettere critiche di sostanza a chi vuole strumentalizzare quel popolo per altri fini. Ma senza resistenza e senza giustizia neanche i negoziati possono condurre a una pace stabile.