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Ucciso e fatto a pezzi dalla moglie, cosa c’è dietro l’efferato omicidio dell’Adigetto

Nadire ha fatto a pezzi il corpo del marito Shefki dopo averlo ucciso per cercare di farla franca. Ma non ha considerato le difficoltà derivanti dalla cancellazione del sangue dalla scena del crimine. Ha agito da sola?
A cura di Anna Vagli
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Il 28 luglio scorso venivano rinvenuti nel fiume Adigetto alcuni resti umani. A un mese dal macabro ritrovamento, le indagini sono arrivate a una svolta: quegli stessi resti appartengono a Shefki Kurti, un pensionato di settantadue anni scomparso dalla sua abitazione nella notte tra il 21 ed il 22 luglio 2022. L'uomo, di origini albanesi ma residente a Badia di Polesine, in provincia di Rovigo, sarebbe stato ucciso e poi fatto a pezzi dalla moglie Nadire, di sessantotto anni.

La donna, dopo aver brutalmente ammazzato il marito a colpi di accetta e coltello, avrebbe riposto quel che restava del suo corpo in alcuni sacchi di plastica e poi avrebbe gettato questi ultimi nel fiume. Fin da subito i sospetti si erano concentrati sulle persone vicine all'uomo, inducendo gli inquirenti ad indagare a trecentosessanta gradi proprio nelle dinamiche familiari ed affettive.

Che cosa si cela davvero dietro questa esecuzione? Qualcuno ha coperto Nadire? Ad oggi la donna si trova piantonata nel reparto di psichiatria dell'ospedale di Rovigo con l'accusa di omicidio volontario aggravato e di soppressione di cadavere.

C'è però un dettaglio che non deve essere trascurato. Nadire era ormai da anni sottoposta a cure per i disturbi psichiatrici dei quali era affetta. In questo senso, sarà dirimente una perizia psichiatrica per stabilire se, quegli stessi disturbi, possano averne inficiato o meno la capacità di intendere e di volere.

E, dunque, per capire se le patologie mentali delle quali è affetta siano state la causa dell'orrore commesso. Posta l'imprenscindibilità della perizia, considerato lo storico clinico della donna, è bene sottolineare che la presenza di un disturbo psichiatrico  – non sempre e non a tutte le condizioni – è sufficiente per l'esclusione della capacità di intendere e di volere.

La dinamica omicidiaria e lo smembramento del corpo

Certamente, resta ancora molto da chiarire in ordine alla dinamica omicidiaria. In questo senso, un importante ausilio alle indagini verrà fornito non soltanto dalla moglie, ma anche dal racconto dei due figli di Nadire e Shefki. Difatti, nonostante la scomparsa, questi ultimi inizialmente hanno minimizzato – almeno in apparenza – l’accaduto. Parlando, addirittura in un primo momento telefonicamente, di allontanamento volontario del padre dopo una presunta lite avvenuta con Nadire. La denuncia sarebbe poi stata formalizzata solamente tre giorni più tardi.

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Durante l’interrogatorio condotto dal Pm Maria Giulia Rizzo, la donna avrebbe poi confessato di aver ucciso il marito per timore di essere lasciata.

Nella notte tra il 21 ed il 22 luglio scorso, Nadire ha colpito Shefky con un’accetta mentre si trovavano in camera da letto, ha trascinato il corpo in bagno dove lo ha sezionato con tre coltelli e l’accetta. Successivamente ha distribuito ciò che restava del marito in alcuni sacchi della spazzatura e li ha gettati nell’Adigetto.

Lo smembramento del corpo, effettuato dalla donna nella fase successiva all’omicidio, non ricopre in questo caso alcun valore simbolico né di tipo ritualistico. Al contrario, denota una certa lucidità. Lucidità che dovrà essere debitamente spiegata in sede peritale.

Difatti, la circostanza per la quale si è disfatta del corpo solo dopo averlo fatto a pezzi farebbe supporre una strategia ben progettata per farla franca. In termini concreti, lo smembramento del cadavere – oltre a facilitarne l’occultamento – aveva la finalità di rendere complicato o addirittura impossibile risalire a lei come autrice del delitto. Proprio in considerazione dello stato in cui lo stesso sarebbe stato inevitabilmente rinvenuto.

È difficile credere che Nadire abbia avuto dei complici, almeno nell’azione omicidiaria. Smembrare un corpo non è poi un’impresa titanica. Le ossa si spezzano. Ed, infatti, la donna, sentita dal pubblico ministero, ha raccontato di aver imparato a tagliare cucinando le galline.

Ciò di cui invece si necessita imprescindibilmente per compiere un omicidio di questo tipo sono il tempo e uno spazio abbastanza grande per farlo. Le difficoltà maggiori in una simile dinamica subentrano piuttosto quando l’offender deve inevitabilmente gestire la fase successiva. Quella di cancellazione delle tracce dalla scena del crimine. Dunque, una mente certamente fredda che, però, non aveva considerato le implicazioni connesse all’attività di ripulitura.

E infatti i Ris, dopo un sopralluogo durato ore nell'abitazione di famiglia, hanno rinvenuto copiose tracce ematiche. Tracce che hanno così permesso agli investigatori di incastrare la donna.

Per questa ragione, gli inquirenti dovranno ricostruire attentamente ciò che è accaduto nei momenti successivi all’omicidio. Sia per quel che attiene l’attività di disfacimento del corpo sia quella di eliminazione – seppur in maniera parziale – delle tracce di sangue in bagno. Possibile che Nadire abbia ripulito tutto da sola? In altri termini, nessuno era al corrente di quanto consumatosi nell’abitazione dei due coniugi prima che ne venissero svelati i dettagli attraverso il virus-spia inserito nel telefono di uno dei figli?

Il ruolo dei figli di Shefki Kurti

Al momento, i figli della coppia sono stati dichiarati del tutto estranei alla vicenda. Ma è davvero plausibile che nessuno abbia avuto alcun sospetto? Del resto, erano stati proprio i figli a parlare per primi di un litigio avvenuto tra i genitori. Litigio a cui poi sarebbe seguita la presunta fuga di Shefki.

Se è vero, come è emerso, che nelle prime ore non avevano effettuato neppure formale denuncia di scomparsa, alcuni tasselli del puzzle mal si incastrano nella vicenda. Stiamo parlando di un pensionato, che conduceva una vita ordinaria e che non avrebbe avuto alcun motivo per allontanarsi dalla sua famiglia e dalla sua abitazione. E questo tutti i suoi familiari avrebbero dovuto saperlo.

In questo senso, è da ritenersi quantomeno anomala una segnalazione telefonica. Così facendo, difatti, le ricerche sono fisiologicamente ritardate. Ed in circostanze come quelle di una scomparsa è fisiologico, oltre che umano, cercare disperatamente di trovare la persona che ha inspiegabilmente fatto perdere le sue tracce. Specialmente se si tratta di una persona cara della quale si conoscono perfettamente le abitudini.

Il movente

Come anticipato, Nadire ha dimostrato una lucidità e una pacatezza non trascurabili nel sezionare a colpi di ascia il corpo del marito. Dopodiché, stando alle ultime confessioni, l'avrebbe riposto nel freezer. Dunque, passato il pomeriggio a ripulire, Nadire avrebbe prelevato i sacchetti di nylon che aveva riposto nel freezer per buttarli nel canale.

"Ho trascorso il pomeriggio a lavare via le macchie di sangue dalla camera e dal bagno, mentre il cadavere era nel congelatore". Posto che, in uno scenario di questo tipo, il legale della donna chiederà la perizia psichiatrica, quale sarebbe il movente? In effetti, questa storia è contraddistinta da dettagli agghiaccianti.

Tuttavia, la stessa lucidità almeno apparentemente adoperata per l'occultamento del cadavere, la si riscontra anche nel tentativo – a mio avviso maldestro –  di giustificarsi rispetto a quanto commesso.Chiaramente, come anticipato, occorrerà verificare la portata dei presunti disturbi di matrice psichiatrica della quale la donna parrebbe essere affetta da anni e per i quali sarebbe stata in cura. E valutare, poi, in seconda battuta, se siano stati quei disturbi psichici a indurla a commettere l'omicidio. Un discrimine non di poco conto.

Perché, se così fosse, al termine delle indagini e fissata l'udienza preliminare, il gup potrebbe prosciogliere la donna e disporre una misura di sicurezza, una volta attestata la relativa pericolosità sociale. Come la decisione di tradurla in una residenza per l'esecuzione delle misure di sicurezza. Queste ultime non sono altro che i vecchi ospedali psichiatrici giudiziari.

"Ho ucciso mio marito perché mi picchiava, ogni giorno da diversi anni". In tale direzione, la donna avrebbe raccontato al Pm di essere stata vessata e picchiata abitualmente dal marito. E proprio in conseguenza dei maltrattamenti subiti si sarebbe determinata ad ucciderlo. "Quel giorno che io l'ho ammazzato […] gli avevo detto di andarsene con l'altra donna, ma lui mi ha dato una sberla ed io ho preso lo spaccalegna".

Al momento, però, gli investigatori non avrebbero trovato alcun riscontro in proposito. Un'ulteriore strategia per farla franca? Altamente probabile. Del resto, ognuno si gioca le carte che ha.

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Dottoressa Anna Vagli, giurista, criminologa forense, giornalista- pubblicista, esperta in psicologia investigativa, sopralluogo tecnico sulla scena del crimine e criminal profiling. Certificata come esperta in neuroscienze applicate presso l’Harvard University. Direttore scientifico master in criminologia in partnership con Studio Cataldi e Formazione Giuridica
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