Uccise moglie e figlia, per giudici “delitto umanamente comprensibile”: le motivazioni del mancato ergastolo
Non è stato condannato all'ergastolo ma a 30 anni di carcere perché, secondo la Corte di Assise di Modena, aveva "motivi umanamente comprensibili" per i due femminicidi commessi da Salvatore Montefusco, 70enne che nel giugno 2022 uccise moglie e figlia. "Arrivato incensurato a 70 anni non avrebbe mai perpetrato delitti di così rilevante gravità se non spinto da nefaste dinamiche familiari che si erano innescate nel tempo".
Il 13 giugno 2022, il 70enne uccise a fucilate la moglie Gabriela Trandafir, 47 anni, e la figlia della donna, Renata, di 22 anni. I tre vivevano a Cavazzona di Castelfranco Emilia. La Procura di Modena aveva chiesto per lui l'ergastolo ma i giudici hanno concesso le attenuanti generiche equivalenti rispetto alle aggravanti riconosciute (i legami familiari e l'aver commesso il fatto davanti al figlio minore della coppia). Sono state escluse premeditazione, motivi abietti e futili e la crudeltà. I giudici hanno ritenuto assorbiti i maltrattamenti nell'omicidio.
Le motivazioni della sentenza sono state spiegate in oltre 200 pagine che ricostruiscono il delitto, descrivendo un contesto di "forti conflitti" tra il 70enne e le due donne con presentazioni di denunce reciproche. Secondo i giudici, il movente non può essere "ricondotto e ridotto a un mero contesto economico" sulla casa dove i tre vivevano. Alla base del femminicidio vi sarebbe invece, secondo i giudici, la "condizione psicologica di profondo disagio, umiliazione ed enorme frustrazione" vissuta dall'imputato che avrebbe dovuto abbandonare la casa familiare "allontanandosi così anche dal figlio".
Per i giudici sarebbe plausibile che la "pretesa" delle due donne abbia provocato un "black-out emozionale ed esistenziale" che avrebbe spinto il 60enne a prendere l'arma e uccidere la compagna e la figlia 22enne che "mai e poi mai", secondo alcuni testimoni, aveva minacciato prima di morte.
La concessione delle attenuanti generiche si rifà alla confessione, alla sostanziale incensuratezza, al corretto contegno processuale e alla "situazione che si era creata in ambito familiare". Secondo la Corte, nel giudicare equivalenza tra attenuanti e aggravanti non si può non tenere conto delle condotte unilaterali e reciproche che avrebbero determinato "l'abnorme e tuttavia casuale reazione dell'imputato".