I fogli nella borsa, il cartellino, il cellulare, le chiavi. Le mani passate tra i capelli prima di uscire. Ci vorrà la giacca? È giugno, fa caldo, ma Romina prende lo stesso il chiodo di pelle nera e lascia l’appartamento al Vomero per andare a lavorare. Saluta la madre. La madre la saluta distratta. È l’ultima volta che vedrà sua figlia, ma lei questo non lo sa. E neanche Romina lo sa. È solo una ragazza di 19 anni con un chiodo di pelle, gli appuntamenti in tasca e una giornata di lavoro davanti. Non sa che quella mattina diventerà “Il caso del Gaudio”. Apre la porta e si affretta incontro all’orrore, perché a volte succede esattamente così: apriamo la porta sull’abisso e la infiliamo sicuri.
La scomparsa
È il 4 giugno 2004. Insieme a un gruppo di colleghe parte da Napoli alla volta di Aversa, dove ha una serie di contatti da raggiungere. Fa la promoter per un grande gestore telefonico, la Wind. Quella mattina avrebbe dovuto andare a Giugliano, nell’hinterland nord di Napoli, ma all’ultimo viene destinata ad Aversa, una manciata di chilometri distante dal capoluogo Casertano. Da Napoli raggiunge la cittadina con le amiche, fanno colazione al bar in piazza Municipio, poi Romina si dirige verso la zona dove sono concentrati i suoi appuntamenti, all’incrocio tra via Roma, via Andreozzi e via Garibaldi. Romina si perde in quel dedalo di vicoli che partono da Piazza Municipio e si diramano in un raggio di pochi chilometri nella cittadina del Casertano. I suoi appuntamenti sono in zona e, in zona, viene vista fino a quando non avviene un incontro fatale: il viso minuto e pallido di Romina si incrocia con quello del suo carnefice.
Il caso a ‘Chi l’ha visto?'
Dalle 14 in poi di quella tranquilla mattina di giugno, della ragazza non ci sono più tracce. Le colleghe non la rivedono per pranzo, ma non ci fanno caso, si farà viva più tardi, quando potrà. Passano le ore, nessuno riesce a rintracciarla, il suo telefono è muto. Romina non tornerà più, ma anche questo, nessuno lo sa. Partono le ricerche, le fiaccolate, gli appelli, le marce. Il viso etereo di Romina viene proiettato in prima serata sugli schermi di Chi l’ha visto?. Federica Sciarelli raccoglie le telefonate. “Chiunque l’avesse vista ce ne dia notizia”. E le notizie arrivano: alcuni passanti riferiscono di aver visto la ragazza ad Aversa fino alle 14 del 4 giugno.
Il ritrovamento del corpo
21 luglio. Una voce anonima segnala ai carabinieri la presenza di resti orrendamente smembrati in un boschetto del Casertano. Sono ossa e frammenti di quello che un tempo era un corpo, dilaniati dai topi dalle volpi e dai falchi che popolano la pineta di San Tammaro e scarnificati dal sole e dal caldo che ha raggiunto temperature altissime. I militari si trovano davanti a una scena agghiacciante, si fanno largo tra le spoglie e nei rovi del boschetto all’ombra della Reggia di Carditello, trovano degli oggetti: uno slip, il reggiseno tagliato con un coltello, un paio scarpe, una maglietta, un fermaglio per capelli e un pacchetto di sigarette.
E un chiodo. Di pelle nera.
Su un cartellino di riconoscimento c’è scritto “Romina del Gaudio”. Era lì Romina, nelle ore d’angoscia in cui partivano le ricerche. Nei giorni in cui la madre respirava la sua assenza, in cui le domande le fermavano il cuore. In quei 12 giorni di incubo era sempre stata lì. Il Dna conferma: quello è il corpo della promoter di Napoli. Raggiunta dalla notizia, Grazia Gallo ha una reazione sconcertante: non si rassegna, non piange Romina, non dispone i funerali. Nega. “Quella non è mia figlia”. Anche di fronte alla prova del profilo genetico la donna non si dà pace: sua figlia non è lì, è stata rapita, è altrove, bisogna continuare a cercarla.
Il tempo che passa, le indagini cominciano a scrivere una parte della storia di Romina, a colmare dei vuoti. Qualcuno l’ha violentata o ha provato a farlo – impossibile dirlo, lo stato dei resti non permetterà mai quel genere di verifica – le ha sferrato una coltellata alla schiena e l’ha finita con due colpi di una pistola calibro 22 alla tempia. Una ferocia che tradisce rabbia, che manifesta un legame, quale che sia, con la vittima. Difficile immaginare che uno sconosciuto possa avere rapito Romina, averla portata in quella pineta a due passi dal palazzo borbonico e lì averla uccisa barbaramente.
Le telefonate anonime
E proprio a pochi giorni dalla scoperta dei resti che avviene un episodio importante. Un uomo chiama la mamma di Romina, rilasciando una vera e propria confessione: "Sono colui che ha…, le chiedo perdono, di quello che ho commesso… su vostra figlia. Mi costituirò al più presto. Le chiedo perdono di nuovo". Ma nei giorni seguenti nessuno si presenta alle forze dell’ordine. La telefonata – dimostreranno le indagini in capo alla Procura di Santa Maria Capua Vetere – proviene da una cabina telefonica della stazione di Aversa, l’ultimo posto dove Romina è stata vista in vita. L’episodio viene archiviato come il gesto di un mitomane, ma non è l’unica segnalazione. Pochi giorni dopo la scomparsa, alcune telefonate anonime partono da Napoli verso casa Del Gaudio. Provengono da una zona del capoluogo in cui all’epoca, c’era un telefono pubblico.
Gli indagati
E sin da subito spunta un sospettato: è un giovane che vive nello stesso quartiere di Romina, Luciano Agnino, 28 anni, vicino di casa. È ossessionato dalla ragazza. È quello che si dice uno “stalker”. Agnino chiama più volte il programma “Chi l’ha visto?” segnalando la presenza di Romina alla stazione di Caserta il giorno della scomparsa. L’avrebbe vista mentre era in attesa del treno per Busto Arsizio. Solo che per Busto Arsizio non esiste alcun treno in partenza o in transito da Caserta. In sede di interrogatorio, come riferirà l’avvocato di parte civile, Giorgio Pace, Luciano si difende esordendo con la frase: “Vuoi vedere che sono stato io, ad ammazzare Romina? Che gliel’ho data io, questa coltellata?”. Ma il corpo non era stato trovato e men che meno si sapeva che la ragazza – che gli inquirenti credevano ancora scomparsa – fosse stata colpita da un fendente alla schiena. L’alibi di Luciano, che agli investigatori ha raccontato di essere a Busto Arsizio il 4 giugno, viene smentito dalla sorella, che parla della sua presenza a Napoli.
In cerca di una copertura, Luciano a quel punto coinvolge l’amico Fabio Fiore e entrambi finiscono nel registro degli indagati. Il test del Dna, però, scagiona i due sospettati. Il campione prelevato su un paio di slip trovati sulla scena – indumento che la madre di Romina non riconosce come appartenente alla figlia e che potrebbe essere stato abbandonato da una delle tante coppiette che frequentano la zona – non è compatibile con quello dei due sospettati. Resta in piedi – ed è quello più accreditato – il movente a sfondo sessuale. Passano gli anni e agli indagati, fra ai quali compare anche il sardo Carlo Porceddu, si aggiungono nel 2009 Alessandro Palumbo, di 30 anni, e Ferdinando Schiavo, di 36. Secondo la perizia medico-legale del consulente della Procura, ci sarebbe compatibilità tra Il coltello sequestrato nell'abitazione di uno degli indagati e le ferite sul corpo della 19enne. Le indagini, però, faranno cadere i sospetti su tutti.
Mamma Grazia: "È stata una vendetta"
Ma mentre la Procura di Santa Maria Capua Vetere si concentra sui molestatori, un’altra ipotesi si affaccia alle indagini. È Grazia Gallo, la mamma coraggio che non si rassegna alla morte della figlia a suggerire un’altra lettura del caso, ovvero che la figlia sia stata rapita come gesto ritorsivo nei confronti dell’ex marito che, proprio nel periodo della scomparsa, doveva testimoniare in Germania a un processo per una truffa di circa 150 milioni di lire. Verranno richiesti alcuni accertamenti tra cui la perquisizione della casa di Del Gaudio, che, però, la Germania negherà, interrompendo di fatto quel filone di indagini. La truffa coinvolgerebbe elementi di spicco del clan dei Casalesi, potente famiglia criminale del Casertano.
Quella disegnata da Grazia del Gaudio è una pista investigativa sostenuta con forza dalla parte civile, che però non porterà mai a nulla. La Procura è più volte sul punto di chiudere il caso, ma le istanze della famiglia del Gaudio lo impediscono: nel 2011 la madre di Romina fa richiesta di un nuovo test del Dna. Ma niente da fare, gli esami confermano quando già rilevato dai primi test genetici dei Ris: quelle sono le spoglie della promoter. Eppure Grazia non desiste, è forte della sua convinzione, del resto, pochi giorni prima della scomparsa di Romina è accaduto un altro episodio inquietante: una ragazza che le somiglia e che fa il suo stesso lavoro è vittima di un tentativo di rapimento a Parete. Due uomini tentano di condurla via con loro. L’hanno scambiata per la giovane collega del Vomero? Sono due sicari mandati dalla Germania? Sono i due uomini che, per conto del padre, ogni tanto consegnano dei soldi a Romina?
Un omicidio ancora irrisolto
Non ci sono risposte, ma solo domande assillanti per Grazia Gallo fino al 2014, fino a quando, dopo una battaglia di 10 anni, si spegne, senza sapere la verità. Non resta più nessuno a reclamare giustizia per questa atroce storia che sembra uscita dalla penna di Stieg Larsson. Dopo 14 anni le indagini restano aperte contro ignoti. E l’assassino resta in libertà. A Carditello, sul viale selciato dove è stato trovato il corpo della 19enne rimane solo una lapide in sua memoria: “A Romina del Gaudio, vittima della violenza e della barbarie umana”.