In collaborazione con Francesco Luchetta
Aumentano i dati a nostra disposizione su Omicron. E con essi, giorno dopo giorno, aumenta la nostra conoscenza su questa variante che sta letteralmente cambiando le regole della lotta alla pandemia. A partire da oggi e per le prossime settimane pubblicheremo una serie di approfondimenti scientifici basati sui dati provenienti da tutto il mondo, che tenteranno di descrivere in modo sempre più dettagliato le caratteristiche nel nuovo Sars-CoV-2.
Quanto è contagiosa e quanto è letale Omicron, che in Italia ha già una prevalenza superiore al 20%? In quali paesi è dominante e con che velocità sta soppiantando la Delta? Qual è l’efficacia dei vaccini nel prevenire il contagio e la malattia? E quando ne avremo di nuovi costruiti sulla Omicron? La risposta a queste domande è ancora parziale ma la scienza procede spedita e il quadro è sempre più delineato.
Il nemico che abbiamo di fronte
B.1.1.529, anche detta Omicron, è la quinta variante del virus Sars-CoV-2 inserita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) nel gruppo delle “Variants of Concern”. Si tratta di un elenco ristretto delle tante varianti individuate del virus, preoccupanti per indice di diffusione, pericolosità clinica e letalità, possibile resistenza ai vaccini e ai trattamenti farmacologici, capacità di eludere i test diagnostici.
Ma perché Omicron, individuata per la prima volta in Sudafrica a inizio novembre 2021, desta così tanta preoccupazione? Il motivo risiede nelle sue caratteristiche genetiche, e in particolare nell’elevato numero di mutazioni presenti su Spike, la proteina che permette al virus di “agganciarsi” al nostro corpo e di infettarlo. Si tratta in totale di 26 mutazioni ma di diversa natura: la maggior parte sono sostituzioni e delezioni, ovvero tratti di materiale genetico modificato o perso, già osservate in precedenti mutazioni; una è invece un inserimento, ovvero una parte di materiale genetico nuovo “inserito” in quello vecchio.
Questo tipo di mutazione, denominata “ins214EPE”, non era mai stata osservata nelle precedenti varianti e proprio qui potrebbe risiedere il motivo di una così alta diffusività di Omicron. Nell’articolo scientifico “Omicron variant of SARS-CoV-2 harbors a unique insertion mutation of putative viral or human genomic origin” di A.J. Venkatakrishnan e altri, ancora in fase di revisione, si ipotizza che l’inserzione si sia prodotta all’interno da un corpo ospite (un essere umano) infettato contemporaneamente da due virus, il Sars-CoV-2 e un altro virus di tipo respiratorio. Di casi clinici di questo tipo se ne sono registrati tanti da inizio pandemia, in particolare con un altro coronavirus conosciuto da tempo che causa influenze stagionali a basso impatto clinico, come un comune raffreddore. Proprio da queste considerazioni genetiche nascerebbero queste prime due ipotesi, ancora da verificare: quella della maggiore trasmissibilità di Omicron e quella di una minore pericolosità clinica.
Rimane poi una terza considerazione da dover mettere a verifica, qualora queste due ipotesi venissero confermate dai dati. Fino a che punto una variante meno letale ma molto più contagiosa può essere considerata meno pericolosa delle precedenti? La risposta in questo caso è molto difficile da dare, perché dipenderà soprattutto dal tasso di ospedalizzazioni e da quanto i sistemi sanitari di tutto il mondo sapranno reggere all’impatto di questa nuova ondata. Per non parlare delle ricadute sul sistema economico e sociale, di nuovo messo sotto pressione dall’ipotesi di nuovi lockdown parziali o addirittura totali.
La velocità di diffusione di Omicron
Come abbiamo detto la nuova variante Omicron è partita dal Sud Africa per poi diffondersi rapidamente in tutto il mondo. I dati più significativi in questo momento provengo dalla Danimarca (DK) e dal Regno Unito (UK), paesi che sequenziano moltissimo (in Danimarca addirittura il 100% dei tamponi molecolari positivi) e dove la variante è già dominante.
Guardando allora al report del 20 dicembre 2021 dello Statens Serum Institut danese, il primo caso di Omicron in DK è stato segnalato il 22 novembre 2021. Da allora è cominciata una crescita vertiginosa ed esponenziale, ben rappresentata dal Grafico 1, che ha portato Omicron a una prevalenza del 10% in data 8 dicembre, e al 44% al 15 dicembre. Oggi che pubblichiamo questo articolo, Omicron in Danimarca non solo è dominante, ma ha quasi completamente soppiantato Delta.
Grafico 1: Totale dei casi Covid in Danimarca (azzurro) e casi Omicron (rosa)
La stessa crescita esponenziale di Omicron si vede bene dai dati del Regno Unito, dove i primi casi della nuova variante sono stati individuati nella terza settimana di novembre e da allora sono cresciuti senza sosta: circa 2500 casi giornalieri il 10 dicembre, 5000 il 13 dicembre, quasi 10.000 il 15 dicembre. Come si intuisce dai numeri, il tempo di raddoppio dei casi di Omicron è bassissimo, compreso fra i 2 e i 3 giorni. La conferma arriva dall’ultimo report del 23 dicembre della UK Health Security Agency intitolato “SARS-CoV-2 variants of concern and variants under investigation in England”, che calcola un tasso di crescita giornaliero dei casi Omicron di 0,37, pari a un tempo di raddoppio di 2,7 giorni.
Per fugare ogni dubbio sul motivo che, in Italia come in tutta Europa, ha innescato una nuova ondata di casi, vi mostriamo il Grafico 2 che rappresenta il veloce diminuire del tempo di raddoppio dei casi in UK e Sud Africa, e in cui riportiamo anche l’ascesa dei casi di Omicron in UK. Come si vede dal grafico, il tempo di raddoppio dei casi in Sud Africa (linea rossa) passa dai 10 giorni di fine novembre ai circa 2-3 giorni di metà dicembre. Stessa cosa avviene con un paio di settimane di ritardo in UK (linea blu), che registrava un tempo di raddoppio dei casi di 15 giorni a metà dicembre per poi scendere in modo repentino all’attuale tempo di raddoppio di 2-3 giorni. Nello stesso grafico, la linea tratteggiata mostra la percentuale di casi Omicron in UK (asse y di destra) sul totale dei casi. Si vede benissimo come le due linee, quella blu e quella tratteggiata, hanno un andamento inverso e si incrociano in un punto, chiaro segno di proporzionalità inversa di due variabili: all’aumentare dei casi Omicron diminuisce il tempo di raddoppio dei casi. L’ennesima prova che dimostrerebbe come Omicron sia più contagiosa delle varianti precedenti?
Grafico 2: tempi di raddoppio dei casi in Sud Africa (curva rossa) e in UK (curva blu) e percentuale di casi Omicron in UK sul totale dei casi (linea tratteggiata)
L’efficacia dei vaccini contro Omicron
La risposta all’ultima domanda è “probabilmente sì”, ma non possiamo darlo per scontato. Non possiamo dare per scontato che Omicron sia più contagiosa di Delta e delle altre varianti per un motivo molto semplice: Omicron buca molto bene sia i vaccini, sia chi è guarito da precedenti infezioni, le altre varianti invece no. Quante volte lo abbiamo ripetuto nei mesi passati? “Attenzione, perché se non pensiamo a portare i vaccini nei paesi poveri, prima o poi uscirà fuori una variante che li elude”, cosa che puntualmente è successa.
I dati più solidi sull’efficacia dei vaccini contro la diffusione di Omicron (i dati contro la malattia grave ancora non sono disponibili) provengono ancora una volta dal Regno Unito e sono riportati nello stesso report della UK Health Security Agency citato prima. I dati riguardano i vaccini di Astrazeneca (ChAdOx1) e Pfizer (BNT162b2), quelli di gran lunga più somministrati in UK. I dati, come si vede dal Grafico 3, sono davvero allarmanti.
I vaccinati con doppia dose di Astrazeneca hanno una protezione iniziale di solo il 35% contro Omicron (contro la Delta è dell’85%) e che si annulla nel giro di 15-19 settimane. Con la terza dose booster di Pfizer o Moderna, la protezione contro Omicron risale su valori compresi tra il 50% e il 65%, mentre contro la Delta è superiore al 90%.
Per quanto riguarda invece i vaccinati con doppia dose di Pfizer, essi partono da una protezione del 60% contro Omicron (contro Delta è del 92%) che si azzera in circa 20 settimane. Con la dose booster di Pfizer o Moderna, la protezione contro Omicron risale a circa il 75%, contro Delta è invece intorno al 95%.
Grafico 3: efficacia dei vaccini Astrazeneca (ChAdOx1) e Pfizer (BNT162b2) nel prevenire il contagio contro le varianti Omicron (pallini) e Delta (quadratini). Dati relativi a vaccinati con doppia dose e terza dose booster.
Questo è il problema più grande che abbiamo di fronte adesso: capire quanto sono ancora efficaci i vaccini, soprattutto contro la malattia grave, cosa che potremo capire nelle prossime settimane grazie ai dati che raccoglieremo. Nel frattempo nulla è perduto e anzi, abbiamo tutti gli strumenti per poter reagire anche a questa nuova ondata.
Prima di tutto con la terza dose, che riporta la protezione contro il contagio a un buon livello, anche contro Omicron. Poi con l’innalzamento di alcune misure di contenimento, come già sta avvenendo in Italia e in tutti i paesi, per contenere il dilagare del virus e guadagnare tempo, in attesa dei nuovi vaccini progettati per sconfiggere Omicron. Le case farmaceutiche pensano di riuscirci nel giro di tre o quattro mesi, ma poi i nuovi vaccini dovranno essere prodotti in miliardi di dosi e distribuiti. Servirà tempo, e questa volta ci auguriamo che saranno davvero per tutto il mondo.
Cosa vedremo nelle prossime puntate?
Nei prossimi articoli analizzeremo il tasso di ospedalizzazioni dei contagi Omicron e li paragoneremo a quelli di Delta, per capire se effettivamente quest’ultima variante sia meno pericolosa da un punto di vista clinico delle precedenti. Continueremo a misurare l’efficacia dei vaccini, non solo nel prevenire il contagio ma, ancor più importante, nel prevenire la malattia grave. E andremo a misurare la tenuta dei sistemi sanitari di tutto il mondo, per capire se e quando saranno necessarie nuove chiusure. Lo scenario è in continuo movimento e l’unico modo che abbiamo per comprenderlo a fondo è quello di analizzarlo e raccontarlo, giorno dopo giorno, dati alla mano.