Tutti i muri nel mondo 30 anni dopo Berlino
Trent'anni fa cadeva il muro di Berlino. Il 9 novembre 1989 è la data che secondo il politologo statunitense Francis Fukuyama ha sancito "la fine della storia": un'espressione per cui, con il crollo della Cortina di Ferro e lo sgretolamento dell'Unione sovietica, si insaturava l'egemonia occidentale, il dominio delle democrazie liberali e del libero mercato. Si sanciva la fine di una dicotomia, quella che vedeva da un lato gli Stati Uniti e a quell'opposto l'Unione sovietica, e l'ascesa del paradigma unico della società globale. Un mondo senza più confini, costantemente interconnesso dal web e da un continuo processo di scambi economici, comunicativi e politici.
Ma se la globalizzazione ha generato apertura, allo stesso tempo ha dato origine al suo contrario: dalla caduta del muro ad oggi, infatti, le barriere e le recinzioni si sono moltiplicate, evidenziando processi di chiusura e separazione in netto contrasto con l'ideale che si andava via via affermando. Alla caduta del Berliner Mauer si contavano nel mondo 15 barriere fisiche nel mondo, poco più di una decina in più rispetto a quante ne esistevano alla fine della Seconda guerra mondiale: oggi queste sono 70, con altre 7 già finanziate e in via di completamento.
L’elenco di tutti i muri nel mondo
Ad affermarlo è Elisabeth Vallet, dell'Università di Montreal, la quale ha compiuto uno studio approfondito sulla proliferazione dei muri nel mondo ("Borders, Fences and Walls: State of Insecurity?"), affermando che ad oggi esisterebbero oltre 40mila km di muri e barriere nel mondo, letteralmente la circonferenza del globo terrestre. Lo studio di Vallet presenta una fotografia della geografia del mondo in conflitto con le teorie dell'era globale, dai muri fra diversi Stati per contenere i flussi migratori, a recinzioni interne alle città per separare ricchezza e povertà alle barriere che sono ogni anno teatro di violenze fra Paesi. Vediamo dove si trovano e come sono nati alcuni dei muri più famosi al mondo.
I muri e le recinzioni in Africa
In Africa, Botswana e Zimbabwe sono separati dal 2003 da una rete metallica elettrificata lunga circa 500 chilometri. La barriera è stata costruita dalle autorità del Botswana per difendere il proprio bestiame da un'epidemia di afta epizootica che aveva invece colpito i pascoli del Paese limitrofo: in realtà ci sono tutte le ragioni per pensare che la recinzione serva a contenere l'ondata migratoria. Il Botswana è infatti un Paese piccolo ma ricco, specialmente grazie all'esportazione di carne e al mercato dei diamanti, e risulta essere una meta a cui aspirano molti cittadini del vicino Zimbabwe, uno Stato povero e politicamente instabile sia dal punto di vista politico ed economico.
Un'altra barriera di filo spinato, su cui corre una carica elettrica a 3.500 volt, separa il Sudafrica dal Mozambico. La recinzione era famosa negli anni Novanta come il "serpente di fuoco": centinaia di mozambicani in fuga dalla guerra civile, in cui il Sudafrica ha sostenuto esplicitamente la Resistenza Nazionale contro il partito di matrice socialista al governo, hanno trovato la morte lungo la barriera.
Un muro alto tre metri e lungo oltre 2.700 chilometri si pone fra il Marocco e il Sahara Occidentale. È stato costruito dalle autorità di Rabat per difendersi dal Fronte Polisario, il gruppo che nel Sahara Occidentale si batte per il diritto all'autodeterminazione. Il muro, il più grande al mondo dopo la Muraglia Cinese, è una vera e propria barriera militarizzata, in quanto si compone di bunker, filo spinato e campi minati. Sul suolo marocchino sono anche presenti delle barriere per circoscrivere e isolare completamente due città, Ceuta e Mellilla, che sono territorio spagnolo.
L'Egitto e la striscia di Gaza sono separati da circa 10 chilometri di muro, costruito da Il Cairo con l'appoggio di Washington per bloccare l'importo di armi di Hamas, l'organizzazione politica e paramilitare palestinese, ritenuta un gruppo terrorista dall'Egitto. Una barriera è in fase di costruzione dal 2014 anche fra Kenya e Somalia. Voluta dal governo di Nairobi, servirebbe a bloccare i flussi migratori dei profughi in fuga dal Paese vicino e bloccare eventuali incursioni terroristiche.
I muri costruiti in Europa
Anche in Europa, nell'era che ha visto la nascita di Schengen e della libera circolazione i muri si sono moltiplicati. Secondo uno studio del centro di ricerca spagnolo Centre Delas dagli anni Novanta in Europa sono stati costruiti quasi mille chilometri di barriere. Nel primo decennio dopo il crollo del muro di Berlino queste erano solamente 2, ma dalla crisi migratoria sono diventate 15. Sui 28 Stati membri dell'Unione, 10 hanno alzato dei muri sul loro territorio. Grecia e Turchia sono separate da un muro alto 4 metri sulla porzione di frontiera in cui scorre il fiume Evros: la barriera è stata costruita nel 2012 da Atene nel tentativo di respingere l'ondata migratoria.
Una barriera divide anche la parte greca da quella turca nell'isola di Cipro: si tratta di una divisione lunga circa 180 chilometri posizionata nell'antica linea del cessate il fuoco che separa la parte settentrionale da quella meridionale del Paese. La capitale Nicosia è tagliata in due parti da una barricata costruita con sacchi di sabbia e filo spinato.
L'anno seguente, una barriera è stata eretta anche fra Bulgaria e Turchia: una rete di filo spinato che corre per circa 200 chilometri, presidiata da militari e guardie di frontiera. Anche in questo caso il governo bulgaro ha costruito la recinzione per contenere l'entrata di profughi che tentano di raggiungere l'Europa attraversando la Turchia. Lo ha fatto dove qualche decina di anni prima esisteva una barriera che aveva lo scopo di non lasciare che i cittadini dell'Unione Sovietica fuggissero verso Occidente.
Un'altra barriera di filo spinato divide Ungheria e Serbia. Alta circa 3 metri e mezzo e lunga quasi 200, ha lo scopo di bloccare i migranti che percorrono la rotta balcanica per arrivare in Europa. Il governo ungherese ha deciso di costruire, utilizzando la forza lavoro dell'esercito e dei disoccupati, una barriera di separazione in quanto riteneva che l'Ue non stesse adottando le misure necessarie per contenere il flusso di profughi.
Nel 2015 Budapest ha anche iniziato a costruire una barriera fra Ungheria, Serbia e Croazia: due anni dopo il governo ungherese ha anche fatto richiesta di 400 milioni di fondi all'Ue per finanziare il piano, da sempre fortemente criticato dalle autorità europee. La motivazione? Le barriere edificate "difendono tutta l’Unione dalle ondate di migranti", per cui è giusto che la comunità europea "paghi la sua parte".
Altri tre chilometri di filo spinato sono stati innalzati al confine fra Austria e Slovenia, sempre per bloccare la rotta balcanica. "Si tratta di assicurare un ingresso ordinato e controllato nel nostro Paese, non di chiudere la frontiera", aveva commentato il governo austriaco durante la costruzione della barriera. Lubiana aveva asserito rimarcando che in assenza di altre soluzioni il Paese sarebbe "costretto a adottare misure per fermare il flusso dei migranti", costruendo altri muri al confine.
Al Nord, nel 2016 è stata eretta una barriera alta 4 metri e lunga 200 tra Norvegia e Russia, costruita per motivi di sicurezza ed evitare passaggi illegali. L'anno seguente anche fra le Repubbliche baltiche e la Russia sono state costruite delle recinzioni di separazione: la Lituania ha costruito una barriera contro Russia e Bielorussia, mentre la Lettonia sta ancora costruendo un muro che la protegga da Mosca.
Ci sono anche muri che separano delle città, come quelli in Irlanda del Nord, costruiti nelle città di Belfast e Derry. Si chiamano Peace Lines e separano le zone in cui risiedono i cattolici da quelle in cui vivono i protestanti: alcuni tratti sono stati costruiti con del metallo, altri con il cemento mentre altri ancora sono recinzioni di filo spinato. Presentano dei cancelli sorvegliati dalle forze dell'ordine che vengono chiusi la notte.
Infine, a Calais, nel nord della Francia un muro di 4 metri è stato eretto per bloccare i migranti che tentano di raggiungere la Gran Bretagna passando attraverso il tunnel che scorre sotto La Manica o entrando nei camion che si imbarcano al porto. Il muro è stato finanziato da Londra, ma costruito in accordo con Parigi per frenare le migrazioni irregolari. A Calais sorge, ormai quasi totalmente smantellato, il campo profughi conosciuto come The Jungle, dove sono state ospitate fino a 7mila persone.
Anche in Italia si è iniziato a parlare di un muro al confine con la Slovenia, per contenere i flussi dei migranti. L'ex ministro dell'Interno, Matteo Salvini, aveva infatti affermato che, se i pattugliamenti congiunti delle forze di polizia italo-slovene lungo la frontiera nord-orientale non si fossero rivelati efficaci al respingimento delle entrate illegali in Italia, si sarebbe dovuta alzare una barriera fra i due Stati.
Le recinzioni nel continente americano
Il muro più famoso in America è sicuramente quello che separa il Messico dagli Stati Uniti. La sua costruzione ebbe inizio nel 1990, sotto l'amministrazione di George H.W. Bush e proseguì durante la presidenza di Bill Clinton, che decise di aggiungere la presenza fissa di forze dell'ordine a presidiarlo. Si tratta di una barriera alta quattro metri fatta di lamiera metallica sagomata. Nel 2011 Barack Obama dichiarò che con oltre mille chilometri di lunghezza, il muro era "sostanzialmente completo". Durante la sua campagna elettorale Donald Trump ha affermato che si sarebbe costruito un muro ancora più grande e che il Messico avrebbe pagato per i lavori. Appena insediatosi nella Casa Bianca, Trump ha firmato l'ordine che autorizza il governo statunitense a prolungare il muro utilizzando fondi federali.
Un altro muro famoso muro in America è quello che divide Lima, capitale del Perù. Fu costruito nel 1985 da un collegio di gesuiti per evitare che la baraccopoli adiacente arrivasse fino all'istituto religioso. Oggi si tratta di una barriera che per 10 chilometri divide la parte più ricca della città, Pamplona alta, dal distretto La Molina dove non arriva alcun servizio fra cui nemmeno l'acqua corrente.
Un altro muro in una città latinoamericana è quello che attraversa per qualche chilometro San Paolo, in Brasile. È stato eretto per separare un'autostrada che collega la metropoli alla costa atlantica da una favela: secondo il governo è stato costruito per proteggere gli automobilisti dalle rapine.
I muri in Asia
La barriera più famosa del continente asiatico, e forse del mondo intero, è sicuramente la Grande Muraglia Cinese. Patrimonio dell'umanità dell'UNESCO e una delle sette Meraviglie del mondo, fu costruita per difendere i confini dell'impero cinese: oggi è un immenso reperto archeologico e una delle mete turistiche più visitate al mondo. Tuttavia, in Asia sono sorte altre barriere dopo la Seconda Guerra Mondiale con lo stesso scopo originale per cui è stata eretta la Grande Muraglia: la difesa e la separazione. Una delle barriere più famose è la Linea di demarcazione militare coreana, che divide la Corea del Nord dalla Corea del Sud. Si estende per 248 chilometri e fu stabilita al "cessate il fuoco" nel 1953. Su entrambi i lati della linea si trova la Zona demilitarizzata coreana.
Anche fra India e Bangladesh esiste un confine fortificato. Si tratta di una barriera di muri e filo spinato che si estende per quasi tutta la lunghezza della frontiera di circa 4mila chilometri. Le autorità di Nuova Delhi, tra la fine degli anni Ottanta e l'inizio dei Novanta, hanno deciso di costruire la barriera per contrastare fenomeni di immigrazione clandestina, infiltrazioni terroristiche e traffici illegali. Il muro, spesso teatro di sangue e violenze, testimonia la difficile convivenza a stretto contatto dei due Paesi. La sicurezza è stata intensificata a seguito dell'instabilità politica in questa zona di frontiera.
Un'altra linea di controllo militarizzata separa l'India dal Pakistan, due Paesi che condividono una storia di forti tensioni, figlia delle guerre indo-pachistane succedute alla divisione dell'ex colonia britannica. Divide la regione del Kashmir in due: una controllata dalle autorità indiane e un'altra da quelle pakistane. Questo territorio vorrebbe l'indipendenza dal governo di Nuova Delhi ed è ancora oggi fonte di contestazioni.
Nel 2014 è stata eretta una barriera a cinque file lungo il confine fra Arabia Saudita e Iraq, costruita da Riad per bloccare qualsiasi ingresso da parte dei miliziani dell'Isis. Quasi 10 anni prima il governo saudita aveva già iniziato a costruire una barriera lungo la frontiera tra Arabia e Yemen: la maggior parte si trova in territorio yemenita. Secondo il progetto, la barricata dovrebbe essere lunga 1,800 chilometri, arrivando fino all'estremità occidentale dell'Oman. Anche in questo caso, lo scopo è quello di difendere uno dei Paesi più ricchi del Golfo da infiltrazioni di miliziani o traffici illegali provenienti dai Paesi vicini più poveri.
La barriera fra Iraq e Kuwait si estende per 190 chilometri: fu costruita nel 1991, immediatamente dopo la prima Guerra del Golfo, con l'approvazione del Consiglio di sicurezza dell'Onu con lo scopo di prevenire una nuova eventuale invasione del Kuwait da parte dell'esercito di Bagdad. Nel 2004 il Kuwait chiese un ampliamento del muro per altri 217 chilometri.
Famoso in tutto il mondo per essere scenario di violenza e repressione, il muro che separa Israele e Palestina è un sistema di barriere lungo 730 chilometri. La barricata, eretta dalle autorità di Tel Aviv a partire dal 2002, vuole separare il territorio dalla regione della Cisgiordania ed è definita come una "chiusura di sicurezza" che si può attraversare solo presso i checkpoint controllati militarmente. Fu costruita da Israele per bloccare gli attentati palestinesi durante la seconda intifada. I palestinesi, invece, chiamano la barriera il "muro di separazione razziale". La Corte internazionale di giustizia dell'Aia ha affermato che l'innalzamento della recinzione è "contrario al diritto internazionale".
Iran, Pakistan e Afghanistan hanno raggiunto un accordo per la costruzione di una barriera che protegga il confine dalle incursioni di gruppi armati e trafficanti di droga. Si tratta di muri in cemento armato alti fino a 3 metri, controllati dalle forze di polizia in punti strategici. La barriera è fortificata con barre di acciaio ed è stata innalzata lungo la frontiera già in precedenza costellata da torri di osservazione militari per prevenire gli attacchi di miliziani e terroristi.
Il muro lungo 27 chilometri che separa Thailandia e Malesia fu costruito per volere del primo ministro tailandese Surayaud Chulanont, che conquistò il potere nel 2006 con un colpo di Stato, per bloccare i traffici di armi verso le guerriglie musulmane e separatiste attive nella parte più a Sud del Paese. La barriera ha anche lo scopo di arginare l'influenza del fondamentalismo malese sulla parte musulmana della popolazione thailandese, in prevalenza buddista.
Lo scorso anno è cominciata la costruzione di una barriera di filo spinato fra Turchia e Siria: la recinzione è lunga quasi 800 chilometri, ma il progetto è destinato ad ampliarsi. Ufficialmente nato per contenere gli attacchi jihadisti e il passaggio dei militanti curdi, considerati terroristi da Ankara, la barricata serve anche a bloccare i flussi migratori dei profughi in fuga dalla guerra civile siriana. Il muro è costellato da tecnologie di difesa avanzate: presenta sistema di sorveglianza ravvicinata, telecamere termiche, radar di sorveglianza terrestre e sistemi di armi telecomandate. L'area di confine è anche controllata da radar che rilevano la presenza di droni.
Perché costruiamo muri nell'era della globalizzazione
La costruzione di muri e barriere nel mondo è incrementata in seguito agli attacchi dell'11 settembre. Nei dodici anni che hanno separato il 1989 dal 2001 è parso che ogni muro, fisico e non, fosse destinato a crollare: Internet, il mondo a portata di mano, il diffondersi delle democrazie liberali e del libero commercio sembravano segnare la fine di ogni barriera. Invece oggi siamo tornati a costruire muri e a innalzare barricate: d'altronde, quando esistono forti divisioni sociali, politiche, culturali ed economiche, quelle fisiche non possono fare altro che seguire.
Proprio la globalizzazione, che comporta apertura e interdipendenze reciproche, ha evidenziato in ultima istanza la distinzione fra un "noi" e un "loro" e la necessità di porre una barriera nel mezzo. Un muro che rafforza questi concetti, alimentando il senso di identità: un bisogno che torna a farsi sentire nel momento in cui il concetto di identità diventa troppo ampio da includere il globo. Chiaramente non si tratta semplicemente di barriere simboliche. Tutt'altro: come abbiamo visto sono spesso luoghi dove si consumano violenze e repressioni. Nella maggior parte dei casi vengono costruiti affinché la gente non possa migrare da situazioni di povertà e instabilità a più benestanti, "minacciando" in quel modo un equilibrio e una sicurezza che sempre più si ha la percezione di dover difendere da elementi esterni.
I flussi migratori sono quindi diventati la maggiore causa per la quale i governi innalzano muri. Secondo la maggior parte degli studiosi in materia, tuttavia, i muri non hanno mai funzionato nel trattenere le migrazioni. Una persona che ha una valida motivazione per fuggire da un luogo, se vede chiudersi una via ne troverà sempre un'altra: chiaramente, più le ragioni per lasciare il proprio Paese sono forti, più si cercherà a tutti i costi un modo per allontanarsene, nonostante i pericoli che ciò comporta. Nick Buxton, ricercatore al Transnational Institute, sostiene che le persone troveranno sempre un modo per scavalcare un muro: un'azione che può rivelarsi rischiosa, ma che non tratterrà i flussi migratori. Per questo non ha alcun senso erigere barriere. Un'argomentazione che, per quanto sia stata comprovata, non analizza le motivazioni del perché quel muro è stato eretto.
Delle ragioni che non vanno cercate solamente nel divario fra ricchezza e povertà o fra guerra e sicurezza: si tratta di un'ansia globale, che non appartiene solo al Nord benestante del mondo. La percezione di insicurezza e conflitti, di cui barriere e recinzioni non sono che la naturale riproduzione materiale, è generalizzata ed è sfociata nell'universo politico. L'ideale di un mondo senza confine e la fine del concetto di nazione inteso come lo era fino ad allora hanno generato una reazione populista che ha provocato l'ascesa delle destre più radicali da Ovest a Est del globo. Sono quindi nati movimenti di estrema destra che hanno fatto del paradigma della sicurezza il proprio cavallo di battaglia politico, generando un circolo vizioso: più fortifichiamo e militarizziamo i confini per sentirci al sicuro, più verrà percepito un senso di insicurezza che nemmeno i muri possono contenere.