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Trovata impiccata in un campo nomadi. Ipotesi femminicidio, il marito ne avrebbe simulato il suicidio

Per la morte di Giusy Levacovich, trovata impiccata ieri in un campo nomadi nel pistoiese, il principale sospettato è il marito: l’uomo l’avrebbe uccisa e ne avrebbe simulato il suicidio prima di darsi alla fuga rendendosi irreperibile per circa 10 ore.
A cura di Davide Falcioni
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Dopo essersi reso irreperibile per quasi dieci ore alla fine si è presentato spontaneamente in caserma dai carabinieri Marco S., il marito della donna di 39 anni, Giusy Levacovich, trovata morta ieri mattina, intorno alle 10, nella casetta prefabbricata in cui viveva all'interno di un campo nomadi a Buggiano, in provincia di Pistoia.

Il corpo della donna era appeso a un cappio, e apparentemente si sarebbe impiccata. Tuttavia gli investigatori, coordinati dalla procura, ipotizzano che non si sia trattato di un suicidio bensì di un omicidio. Dai primi accertamenti medico-legale sono emersi infatti dei segni di strangolamento incompatibili con quelli causati dalla corda che la vittima aveva stretta intorno al collo. Il suicidio di Giusy, quindi, sarebbe stato simulato da qualcuno. Secondo l'esame eseguito sul posto, aveva ecchimosi sul collo.

A dare l'allarme al 118 sarebbe stato un figlio della vittima. Quando i carabinieri sono giunti nel campo nomadi, il compagno della 39enne risultava già irreperibile e così sono scattate immediatamente le ricerche. Poco prima delle 20 l'uomo – Marco S., di 44 anni – ha raggiunto la caserma, dove è stato interrogato fino a tarda notte. L’ipotesi di reato per la quale la procura indaga è quella di omicidio aggravato. Il principale sospettato è una vecchia conoscenza delle forze dell’ordine perché negli ultimi quindici anni è stato arrestato più volte per furti su auto o in abitazione messi a segno fra Lucca, Prato e Massa.

La salma di Giusy Levacovich è stata trasportata all’obitorio di Pescia, in vista dell’autopsia, mentre il marito è stato condotto al comando provinciale dell’Arma di Pistoia. L'ipotesi degli inquirenti è che l’omicidio sia avvenuto al culmine di un’accesa lite, forse scoppiata la sera precedente il ritrovamento del corpo della donna. Un delitto d’impeto, che poi l’autore, con grande lucidità, avrebbe tentato di mascherare cercando di farlo passare per un suicidio, procurandosi una corda e simulando l’impiccagione.

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