“Troppo malata per essere curata”: in Italia si continua a morire per disturbi alimentari e il Governo blocca i fondi

Quasi 4 milioni di italiani soffrono di disturbi alimentari. Eppure la sanità italiana non è ancora sufficientemente attrezzata per dare una risposta efficace e il Governo ha recentemente tagliato i (pochi) fondi destinati alla cura.
A cura di Chiara Daffini
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Quando il cibo diventa un "nemico" è la vita stessa a essere compromessa, perché non si può vivere senza nutrirsi. Di più: l'atto stesso del mangiare è di per sé sociale, così un cattivo rapporto con l'alimentazione intacca i rapporti con gli altri, la serenità, il vivere quotidiano. Lo sanno bene i 3 milioni e 600mila italiani affetti da disturbi della nutrizione e dell'alimentazione.

Una "epidemia" dopo la pandemia

Si chiamano disturbi ma sono vere e proprie malattie: anoressia, bulimia, binge eating disorder, vigoressia, ortoressia e un infinito sottobosco di patologie legate in primis alla psiche e di conseguenza al corpo. I disturbi della nutrizione e dell'alimentazione sono presenti da decenni, per non dire da secoli, ma dallo scoppio della pandemia da Covid-19 hanno avuto un'impennata, soprattutto tra giovani e giovanissimi.

Secondo i dati del Ministero della Sanità i nuovi casi sono più che raddoppiati negli ultimi 4 anni, passando dalle 680mila nuove diagnosi annue nel 2019 a 1 milione e 450mila nel 2022. Cifre sottostimate, se si considera che molti non si rivolgono a medici e specialisti.

La richiesta di aiuto medico, nell'ultimo triennio, è cresciuta di oltre il 30 per cento e la sanità italiana, già debole in questo ambito, si è trovata al collasso: per accedere ai (pochi) posti di cura nelle strutture dedicate ci sono liste d'attesa lunghissime. Qualche esempio nelle grandi città: Milano 6-9, mesi, Torino 6-8 mesi, Roma 9-12 mesi (stime Fondazione Fiocchetto lilla), al Sud invece mancano proprio le strutture, ce ne sono solo 40, contro le 86 del centro-nord.

Marcia indietro del Governo

Alla fine del 2021, grazie alle lotte di associazioni e attivisti, erano stati ottenuti lo stanziamento di un fondo da 25 milioni per il contrasto ai disturbi alimentari e l'inserimento degli stessi nei Lea, livelli essenziali di assistenza, come malattie a sé stanti, quindi scorporate e con fondi propri rispetto alla grande famiglia delle malattie mentali. L'ultima manovra di Governo, tuttavia, non ha rinnovato il fondo e l'emendamento sui Lea, approvato da entrambe le Camere, non è mai stato convertito in legge.

"Almeno 22mila pazienti, in carico oggi ai servizi istituiti grazie al Fondo, resteranno senza assistenza e saranno costretti a lunghi viaggi per accedere alle cure", denuncia Laura Della Ragione, Direttore della Rete Disturbi Alimentari Usl 1 dell’Umbria e Direttore del Numero Verde Nazionale SOS Disturbi Alimentari della Presidenza del Consiglio e dell’Istituto Superiore di Sanità. "Grazie al fondo – aggiunge – erano stati assunti 780 dei 1491 professionisti operanti nella cura dei disturbi alimentari".

"Il lavoro da fare per colmare le lacune ancora presenti, soprattutto nel Sud Italia, è ancora molto – conclude Dalla Ragione – ma il segnale che arriva dal Governo va nella direzione opposta. Credevamo che il Fondo venisse rinnovato, mentre rischiamo di assistere, a fronte di un aggravarsi del fenomeno, alla chiusura di decine di centri in Italia. Ora possiamo solo sperare che ai disturbi alimentari, dal 2017 inseriti nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), sia riconosciuto un budget di spesa vincolante per garantire un'assistenza stabile in tutta Italia”.

Previste, per il 19 gennaio, manifestazioni in decine di città italiane, tra cui Milano, Roma e Napoli, per protestare contro il provvedimento preso dal Governo nell'ultima Manovra e per chiedere l'inserimento dei disturbi alimentari, come categoria a sé stante e quindi dotata di fondi strutturali specificatamente dedicati, nei Livelli essenziali di assistenza.

Di disturbi alimentari si muore

Intanto però di disturbi alimentari si muore e si continua a morire. Il Rencam, registro nominativo delle cause di morte, nel 2023 rileva complessivamente 3.780 decessi con diagnosi correlate ai disturbi della nutrizione e dell'alimentazione, a cui si aggiungono tanti altri casi non riconducibili in termini organici ai disturbi alimentari, ma essi legati sul piano psichico. Per adolescenti e giovani donne queste patologie vengono stimate come prima causa di morte dopo gli incidenti stradali.

Purtroppo dietro a questi numeri ci sono le storie di chi soffre e ha perso dei cari. Come Alessia, 16 anni, Giulia 15 anni, Ilenia, 25 anni, Emanuela 34 anni. Sono quattro delle tante persone morte a causa di disturbi della nutrizione e dell'alimentazione. Le loro vicende, profondamente diverse, sono unite dalla difficoltà di accesso alle cure.

Alessia si è buttata sotto un treno a 16 anni perché non riusciva più a convivere con il suo disturbo alimentare
Alessia si è buttata sotto un treno a 16 anni perché non riusciva più a convivere con il suo disturbo alimentare

"Mia figlia Alessia – racconta a Fanpage.it Loredana Graffa – si è ammalata all'età di undici anni. Nell'ultimo periodo era seguita solo una volta al mese, troppo poco, dal momento che aveva anche messo in atto gesti autolesionisti. Era seguita dai servizi sociali per entrare in una struttura, ma si sono presi i loro tempi, così il 7 luglio 2021 mia figlia ha deciso di buttarsi sotto un treno ed è andata via per sempre. Alessia non è stata né ascoltata né seguita abbastanza".

Giulia Tavilla è morta a 15 anni per le conseguenze della bulimia
Giulia Tavilla è morta a 15 anni per le conseguenze della bulimia

"Dodici anni fa – ricorda invece Stefano Tavilla – ho perso mia figlia Giulia. Mi ricordo che allora, solo dalla prima telefonata che feci alla residenza fuori regione per avere la prima visita, passarono 40 giorni. Poi, siccome Giulia non era una ragazza sottopeso, perché in quel momento la sua malattia alimentare era più verso l'aspetto bulimico, aveva delle persone davanti a lei considerate con più elevata priorità. In questo lasso di tempo, però, Giulia è mancata per complicanze legate alla malattia".

Ilenia è morta a 25 anni di anoressia
Ilenia è morta a 25 anni di anoressia

"Abbiamo continuato a fare visite su visite – dice a Fanpage.it Cecilia Mercandelli, mamma di Ilenia -, però ci dicevano che le liste d'attesa per entrare in un centro erano molto lunghe, si parlava di mesi, ma anche di anni. Intanto mia figlia si è aggravata e alla fine nessun centro voleva più prenderla in carico perché ‘troppo malata'. In poche parole mi hanno detto che Ilenia doveva solo aspettare di morire: è stata trasportata in hospice e il giovedì successivo, il 4 novembre 2021, purtroppo è deceduta. Lei non voleva morire, perché lei, fino al giorno precedente la sua morte, stava ancora cercando di entrare in un centro. Cosa avrei potuto fare in più per aiutare mia figlia?".

Emanuela è morta a 34 anni di anoressia
Emanuela è morta a 34 anni di anoressia

"Quando sono tornata dalle vacanze estive – spiega Chiara Perinetti, sorella di Emanuela – ho visto mio padre e mia sorella per una colazione e lì ho notato che Emanuela era molto dimagrita. E poi da lì è stato velocissimo. Mi ricordo le ultime parole un giorno prima che mancasse, non me le ha dette neanche dal vivo, me le ha registrate in un video in cui in realtà diceva soltanto ‘Ciao'. La difficoltà più grande è stata il fatto che Emanuela fosse maggiorenne e aiutare qualcuno che in quel momento pensa di potercela fare da solo e non vuole essere aiutato non è così facile. Avere gli strumenti – conclude – sia per le persone malate sia per le famiglie, mettere a disposizione una rete di aiuti più ampia e più immediata, potrebbe aiutare a cambiare anche solo una storia".

La lotta di Stefano Tavilla

Dopo la perdita di sua figlia, Stefano Tavilla ha fatto del diritto alla cura dei disturbi alimentari un obiettivo di vita, fondando la Fondazione Fiocchetto lilla. È stato insignito nel 2021 dal presidente Sergio Mattarella dell'onorificenza dell'Ordine al Merito della Repubblica Italiana.

"Ho voluto il fiocchetto lilla – racconta a Fanpage.it –  soprattutto perché diventasse un simbolo unitario per tutte le persone che soffrono di queste malattie e anche per tutte le famiglie, perché sono patologie che spesso vivono nel silenzio. La richiesta è quella di avere un budget specifico per i disturbi alimentari all'interno dei Livelli essenziali di assistenza, in modo da garantire l'accesso e la continuità di cura in tutte le regioni. E poi non dimentichiamoci che in questo contesto dovrebbe essere la sanità pubblica a farla da padrone, perché purtroppo oggi, anche per curarsi da queste malattie molto spesso bisogna averne le possibilità".

Stefano Tavilla stringe dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella
Stefano Tavilla stringe dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella

A confermare quest'ultima affermazione è la storia di Elena Sommaruga, una ragazza di 25 anni malata di anoressia. "Dal momento che ero troppo grave per poter aspettare il mio turno in lista d'attesa, dopo un periodo nel reparto di medicina, sono stata ricoverata in strutture riabilitative a pagamento. I miei pagavano tantissimo – (la quota giornaliera per strutture di questo tipo va dai 200 ai 400 euro, ndr) per permettermi di stare lì. Adesso sto un po’ meglio ma non bene, soffro ancora tanto e la mia vita non è quella di una persona sana. Sto continuando le cure a livello ambulatoriale e perché siano intensive devono essere nel privato, quindi ogni settimana vanno via centinaia di euro, senza contare i medicinali: sommando tutto si arriva anche a un migliaio di euro al mese. Io – conclude Elena – ho avuto la fortuna di essere salvata a pagamento, però non dovrebbe essere così".

Elena Sommaruga, 25 anni
Elena Sommaruga, 25 anni

Erzegovesi: "Una malattia che non conviene"

Ma perché la sanità italiana fa così fatica a implementare in maniera strutturale le terapie per i disturbi della nutrizione e dell'alimentazione? Lo abbiamo chiesto a Stefano Ezegovesi, medico psichiatra e nutrizionista, da decenni impegnato nella cura dei disturbi alimentari.

"Il problema che io vedo da questo punto di vista è ancora, possiamo dire, culturale, nel senso che ad oggi non c'è grande difficoltà a considerare un adolescente con una patologia tumorale come un adolescente a cui bisogna dare tutte le cure di cui ha bisogno e in fretta, perché di tumore si muore, ma anche di disturbi alimentari si muore. In un tumore io la cellula tumorale la vedo e la posso identificare fisicamente, in un disturbo alimentare l'ossessione che gradualmente corrode e consuma la vita delle persone non è visibile, ma questo non vuol dire che non ci sia".

La questione economica ha però un'impronta rilevante. "Il fatto è che esiste una specie di classifica delle malattie – spiega Erzegovesi -, per cui se io devo cambiare la protesi all'anca viene rimborsata tantissimo, ed è dunque una patologia che ‘conviene'. Invece l'anoressia è una patologia che ‘non conviene', perché richiede tempi lunghi, richiede la presenza di più specialisti e soprattutto ha un'alta complessità. Ad oggi, per quello che è il sistema di tariffazione nazionale, tutta questa alta complessità è pagata poco. E allora questo automaticamente comporta che qualsiasi struttura che deve pensare di far partire un servizio per i disturbi alimentari sia sicura di poter essere in perdita prima ancora di cominciare".

Il caso del centro "fantasma" in Toscana

Un caso concreto lo abbiamo rintracciato nel sudest della Toscana, dove dal 2010 sono stati investiti 3 milioni e 750mila euro per riqualificare una struttura di 1700 metri quadri, Casa Mora, che avrebbe dovuto ospitare l'unico centro pubblico per i disturbi alimentari della Regione Toscana e delle zone limitrofe.

Eppure, a distanza di tre anni dall'inaugurazione, è attivo solo il servizio diurno, mentre i venti posti letto, già pronti sono rimasti vuoti. Nell'autunno del 2023 siamo andati a visitare la struttura e abbiamo chiesto chiarimenti. Ci è stato detto che i tempi di apertura della residenza sarebbero stati "molto brevi", ma ad oggi la situazione è rimasta immutata.

Il centro per i disturbi del comportamento alimentare Casa Mora, a Castiglione della Pescaia (Grosseto)
Il centro per i disturbi del comportamento alimentare Casa Mora, a Castiglione della Pescaia (Grosseto)

Capire i disturbi alimentari

"Non si muore di disturbi alimentari, ma della mancata cura degli stessi", dice Tavilla. Ma perché a queste malattie vengano date l'attenzione e la dignità che meritano è importante fare lo sforzo di capire davvero la sofferenza che provocano. E allora abbiamo chiesto a Elena, che ancora convive con l'anoressia, di raccontarci che cosa significa.

"Tutto è iniziato – spiega – perché volevo le cosce più magre, in realtà cercavo la perfezione. Ho cominciato a mangiare solo cibi da me ritenuti salutari,  a escludere i condimenti, poi la pasta e il pane e infine sono arrivata a non mangiare più niente. Più magro era più bello, però non volevo essere estremamente magra, ho perso il controllo".

Oggi questa giovane donna cerca di ritornare in salute, ma con estrema fatica. "Prendere peso – dice – vuol dire tornare alla vita. E questo mi terrorizzava, mi ha sempre terrorizzata e mi terrorizza. È tremendamente difficile andare verso la cosa che più ti fa paura, con pensieri che ti rendono impossibile l'esistenza perché nella testa c'è solo il cibo. Mi sono trovata a non avere più interessi e nemmeno la concentrazione per leggere un libro o guardare un film, mi sento obbligata a camminare ogni giorno per chilometri e chilometri e questo mi porta via tantissimo tempo con il solo scopo di bruciare calorie. La malattia mi ha tolto tutto, ho 25 anni e ancora non so cosa farò nella mia vita".

Anche Caterina, 31 anni, soffre di anoressia: "In clinica mi hanno semplicemente detto che ero troppo grave per essere presa in carico da loro. E quindi mi hanno rispedita a casa. Il primario mi ha chiamata ‘carcassa'. Io ho chiesto aiuto, ma non l'ho ricevuto, eppure vorrei veramente fare qualcosa per la mia vita, ma mi sento una malata di serie B".

Caterina, 31 anni
Caterina, 31 anni

Guarire si può

Per fortuna guarire si può: fondamentale è chiedere e ricevere il giusto aiuto. Lo testimonia la storia di Diego, 27 anni, che grazie al Centro Disturbi della Nutrizione e dell’Alimnetazione ( D-NA) Asst Santi Paolo e Carlo di Milano ha ritrovato un po' di serenità. Anche la sua, però, è stata una strada in salita.

"Il mio comportamento – ricorda Diego –  anche da familiari e amici stretti non veniva visto come preoccupante, perché c'è il paradigma che di solito l'anoressia è una questione femminile. Persino per me l'idea della persona malata si incarnava in una ragazza e, dato che non riuscivo a farla corrispondere con quello che ero, credevo di non essere malato. Poi devo dire che anche a livello di richiesta d'aiuto ho avuto delle esperienze negative, mi sentivo incompreso".

Diego, 27 anni, oggi è sulla via della guarigione
Diego, 27 anni, oggi è sulla via della guarigione

"I disturbi della nutrizione e dell'alimentazione – spiega Sara Bertelli, direttrice del Centro  D-NA Santi Paolo e Carlo e già presidente di Nutrimente Odv – non sono un problema di peso e non sono un problema di genere. È vero, le femmine sono in netta maggioranza, ma ci possono essere anche maschi che soffrono di queste malattie e che fanno ancora più fatica a riconoscerle perché bloccati dal pregiudizio. Ogni giorno vedo nei miei pazienti e nelle mie pazienti una grande fatica nell'affrontare la malattia, perché oltre ai problemi che tutti hanno nella vita quotidiana, loro devono sobbarcarsi anche tutte le difficoltà che comporta non dare per scontato quello che per altri lo è, l'atto di mangiare. Ci vuole ascolto, fiducia e un percorso, come quello che offriamo a chi si rivolge a noi, da intraprendere in sinergia non solo tra professionisti di diversi ambiti ma anche tra paziente, medici e famiglia".

"Ho avuto la fortuna di arrivare al San Paolo – conclude Diego -. Con il loro aiuto, a 360 gradi, è stato non dico più semplice, ma tale da consentirmi un approccio diverso. Da quando ho riconosciuto di avere un problema e l'ho affrontato, la situazione è cambiata: adesso faccio cose che non avrei mai fatto prima".

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