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Cadaveri fatti a pezzi a Tropea

Tropea, orrore al cimitero, parlano i cittadini: “Da morire di paura, ma qui anche gente perbene”

La Guardia di Finanza ha scoperto che al cimitero di Tropea, provincia di Vibo Valentia, tre addetti avrebbero estumulato numerose salme e fatto a pezzi i cadaveri allo scopo di liberare i loculi e rivenderli. Con queste accuse sono finiti agli arresti tre persone, tra cui il custode comunale, Francesco Trecate. Fanpage.it è andato a Tropea per capire cosa ne pensano i cittadini. Abbiamo incontrato anche Pietro Di Costa, ex testimone di giustizia, che alcune settimane fa aveva denunciato tutto alle forze dell’ordine.
A cura di Francesca Lagatta
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Al cimitero comunale di Tropea i cancelli sono spalancati come non accadeva troppo spesso ultimamente e, nonostante il freddo, il cielo minaccioso e la pioggia, c'è un insolito via vai di persone. Amici e parenti vengono a controllare che sia tutto a posto, che i loculi dei loro cari siano ancora intatti e che ci sia un corpo, o quel che ne rimane, su cui piangere. La città è ancora sotto shock e da qualche ora non si parla d'altro. Due giorni fa la Guardia di Finanza di Vibo Valentia ha tratto in arresto tre persone, Francesco Trecate, il figlio Salvatore e Roberto Contartese, perché secondo gli inquirenti avrebbero profanato decine di tombe per rivenderle. Le modalità con cui sarebbe avvenuto ciò, è degno dei peggio film horror. I tre indagati avrebbero, a vario titolo, distrutto le bare, fatto a pezzi i cadaveri e in alcune occasioni dato alle fiamme i loro resti.

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I cittadini: "Tropea è anche altro"

Tutte le persone che arrivano nel cimitero, si fermano a parlare tra di loro per chiedere se hanno notato qualcosa di strano, ma alla vista delle telecamere si dileguano. Accettano di parlare solo a telecamere abbassate e quasi tutti ripetono lo stesso concetto: «Non è giusto che per colpa di qualche scellerato si dica che Tropea sia un covo di delinquenti». E in effetti Tropea è conosciuta nel resto d'Europa per le sue bellezze che, prevalentemente in estate, attirano centinaia di migliaia di turisti e sono uno dei maggiori attrattori turistici della regione. Ma quando si parla di Calabria e di malaffare, puntualmente si ricade nel pregiudizio duro a morire secondo cui tutti sarebbero complici del sistema marcio. «Io sono laureata all'università con il voto di 108 – ci dice una donna venuta a trovare i suoi famigliari defunti – e nella mia vita ho scelto la strada dello studio e della cultura. Rabbrividisco al pensiero che qualcuno possa paragonarmi a certe persone, a certi comportamenti». «Siamo arrabbiati – le fa eco un'altra – questa è una ferita profonda. Tropea non la merita».

Pietro Di Costa
Pietro Di Costa

Tutti sapevano?

Difficile stabilire se certe pratiche, ora al vaglio degli investigatori, era già note in paese, fatto sta che le voci relative alla vicenda sarebbero cominciate a circolare da tempo. «Non si può dare adito alle chiacchiere e per questo non avevamo denunciato – dice una cittadina, accompagnata da un'amica -, ma ovviamente ci eravamo accorti che con l'arrivo del nuovo custode – uno dei tre arrestati – qualcosa era cambiato». A cominciare dagli orari delle visite. «Dapprima – afferma – al cimitero non c'era alcun vincolo fino all'orario di chiusura, all'improvviso abbiamo visto le catene ai cancelli, alcune volte non si poteva entrare».

I tropeani si sono ribellati

Per addentrarsi nella vicenda, sfociata poi nell'applicazione di tre misure cautelari in carcere, bisogna fare un passo indietro. E' dicembre scorso quando Pietro Di Costa, ex testimone di giustizia ancora sotto protezione, decide di appellarsi al Ministero dell'Interno per fare ritorno nella sua città natale, che è Tropea, appunto. Giunto in terra calabra, Di Costa viene avvicinato da alcune persone che gli parlano dei presunti raggiri cimiteriali e che hanno paura di denunciare. Di Costa, invece, con la paura ha imparato a conviverci, perché in passato le sue denunce hanno dato vita a diversi processi, alcuni dei quali finiti con pesanti condanne. E' questo il motivo per cui ha dovuto lasciare la piccola comunità calabrese. Ma di fronte alle preghiere di tanti concittadini, l'ex testimone di giustizia si è diretto in caserma e ha denunciato tutto alle forze dell'ordine. Al cospetto degli uomini in divisa, l'uomo ha però capito che c'erano già delle indagini in corso, probabilmente avviate grazie a precedenti denunce.

L'anticipo delle operazioni

Quando Di Costa ha capito che le illazioni erano qualcosa di più, non è riuscito a trattenersi e invece che mantenere il riserbo per non inficiare le indagini, ha spiattellato tutto sui social. In particolare, un paio di settimane fa, ha scritto sul profilo del sindaco Giovanni Macrì, reduce da un consiglio comunale, per chiedere spiegazioni sulla presunta sparizione di 47 bare. Il commento, ovviamente, ha destato scalpore, tanto che gli strascichi sono arrivati fino alla procura di Vibo, che coordinava le indagini. Di qui, il procuratore Camillo Falvo avrebbe scelto di anticipare le operazioni per evitare possibili conseguenze. Poco male, il materiale in possesso degli inquirenti sembra già parlare chiaro. Il video, che ritrae gli indagati intenti a distruggere le bare, è stato diffuso alla stampa durante la conferenza di rito.

Di Costa: «Ho perso tutto ma non mi arrendo»

Pietro Di Costa è un nome molto conosciuto a Tropea proprio per il suo trascorso. Sa di essere ancora un potenziale bersaglio della malavita, ma sembra che tutto gli scivoli alle spalle e come se niente fosse continua a camminare tra quella stessa gente che gli ha rovinato la vita con minacce incessanti. «A causa delle mie denunce ho perso tutto, non ho più niente. Vivo con meno di 300 euro al mese e non vedo la mia famiglia da tanto tempo, sono rimasto solo, a parte qualche amico». A volte, racconta, anche le persone con cui è cresciuto fanno finta di non vederlo. «Ma non tutte, per fortuna c'è chi non deve dare conto a nessuno». E spiega di come, al contrario, molte continuino a stimarlo e a sostenerlo nelle sue battaglie. «Però il fatto che tanta gente si sia rivolta a me e non alla procura, che abbia chiesto a me di denunciare – dice – mi dà da pensare. La gente ha paura di perdere tutto, come è successo a me». Intanto, per oggi, lo Stato ha vinto di nuovo, anche grazie al coraggio dei cittadini onesti, e questo è un copione che, per fortuna, in Calabria si ripete sempre più spesso.

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