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Trento, scuola cattolica condannata: “Discriminò insegnante ritenuta gay”

Il caso di una docente a cui non fu rinnovato il contratto in una scuola cattolica gestita dalle suore dopo alcune voci su una sua presunta omosessualità. Per il giudice è stata perpetrata “una discriminazione per orientamento sessuale e non per motivi religiosi”.
A cura di Antonio Palma
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Per la prima volta in Italia una scuola paritaria cattolica è stata condannata per aver discriminato un’insegnante in base al suo orientamento sessuale. Il giudice del lavoro di Rovereto, in Trentino Alto Adige, infatti ha stabilito che l’Istituto Figlie del Sacro Cuore di Gesù di Trento dovrà risarcire con 25mila euro per danni patrimoniali e non patrimoniali una docente a cui non era stato rinnovato il contratto perché ritenuta lesbica. Come racconta il Corriere della Sera,  secondo il giudice la docente "ha subito una condotta discriminatoria tanto nella valutazione della professionalità, quanto nella lesione dell’onore" perché "la presunta omosessualità dell’insegnante nulla aveva a che vedere con la sua adesione o meno al progetto educativo della scuola".

Lo stesso giudice inoltre ha stabilito che l'istituto dovrà risarcire con 1500 euro ciascuna la Cgil del Trentino e l’Associazione radicale Certi diritti perché la condotta della scuola è stata una "discriminazione collettiva" che "ha colpito non solo la ricorrente, ma ogni lavoratore potenzialmente interessato all’assunzione presso l’Istituto".  Secondo il racconto della docente, alla scadenza del contrato era stata convocata dalla madre superiore che le aveva fatto presente di alcune voci di una sua omosessualità che doveva smentire perché lei "aveva problemi come dirigente dell’Istituto a rinnovare il contratto ad una persona ritenuta omosessuale". Al rifiuto della donna di confermare o smentire il fatto l'istituto non aveva rinnovato l'incarico.

La scuola dal suo canto aveva rigettato le accuse di discriminazione giustificando il mancato rinnovo del contratto prima con la mancanza di posti e poi con la necessità di tutelare il proprio progetto educativo e anche accusando la docente di condotte improprie. Un cambiamento di versioni su quanto accaduto che non ha convinto il giudice che ha sancito la presenza di una "violazione del principio di parità di trattamento". Per il giudice infatti alla vicenda in esame non si può applicare la "clausola di salvaguardia prevista per le cosiddette organizzazioni di tendenza", perché è stata perpetrata "una discriminazione per orientamento sessuale e non per motivi religiosi".

"Questa decisione fissa un punto chiaro: i datori di lavoro di ispirazione religiosa o filosofica non possono sottoporre i propri lavoratori a interrogatori sulla loro vita privata o discriminarli per le loro scelte di vita", ha spiegato il legale del docente, l'avvocato Alexander Schuster, concludendo: "L’uso di contraccettivi, scelte come la convivenza, il divorzio, l’aborto, sono decisioni fra le più intime che una persona può compiere e non possono riguardare il datore di lavoro".

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