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Tredicenne precipitata a Piacenza, la madre: “Mi dissero che era morta, ho risposto: ‘Allora ci è riuscito'”

La mamma della 13enne deceduta dopo una caduta dal settimo piano a Piacenza ha raccontato i rapporti tesi con l’ex fidanzato e l’ultimo saluto alla figlia prima della tragedia. “Dovevamo vederci a pranzo, ma non è mai uscita da quel palazzo. Un carabiniere mi ha detto: ‘Deve essere forte, è morta’ “.
A cura di Gabriella Mazzeo
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immagine di repertorio
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La 13enne morta a Piacenza dopo un volo di 8 metri nella mattinata di venerdì 25 ottobre avrebbe dovuto incontrare delle amiche per fare colazione prima di entrare a scuola. "Quella mattina si era alzata alle 7 – ha raccontato la mamma ai microfoni della trasmissione Storie Italiane – e alle 8 avrebbe dovuto andare a fare colazione con le sue amiche. Le ho detto: ‘va bene, ci vediamo a pranzo'. Quel pranzo però non è mai arrivato".

Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, la 13enne sarebbe caduta dal balcone del settimo piano dello stabile dove viveva insieme ai familiari. Con lei vi era l'ex fidanzatino 15enne, ora in stato di fermo con l'accusa di omicidio volontario. Secondo il pm, l'adolescente avrebbe cercato di aggrapparsi alla ringhiera del balcone prima di cadere, ma il giovane l'avrebbe ripetutamente colpita per farla cadere.

La 13enne aveva raccontato dei comportamenti ossessivi dell'ex anche agli assistenti sociali. "Mia figlia aveva voglia di vivere – ha raccontato la mamma dell'adolescente -. Temo che mia figlia non sia neanche uscita dal palazzo. Ho scoperto poi anche dal vicinato che lui si appostava, dormiva sul pianerottolo, nelle cantine, sui tetti. Secondo me era nascosto sulle scale e quando lei ha aperto la porta è riuscito a richiamarla, a dirle qualcosa. Mia figlia è uscita di casa e non è più rientrata".

Secondo i familiari della 13enne, il 15enne sarebbe riuscito a trascinarla fino al settimo piano per poi gettarla nel vuoto. "Io sono scesa e sul marciapiede, mentre attraversavo la strada per prendere la macchina, mi ha fermato un carabiniere – ricorda la donna -. Mi ha preso per la spalla e mi ha detto: ‘Signora, deve essere forte'. Ho chiesto se mia figlia fosse morta, lui ha fatto cenno di sì con la testa. Gli ho detto: ‘Allora ci è riuscito'".

Secondo quanto ha raccontato una vicina di casa alla donna, la 13enne avrebbe urlato aiuto. "Mi ha detto che però aveva paura". Stando al resto del racconto, dopo la morte della ragazzina il 15enne avrebbe chiesto ad un residente del palazzo di chiamare i soccorsi. "Ha suonato ad un piano, ha chiesto di chiamare i soccorsi. Come se nulla fosse, ha anche minacciato la persona alla quale aveva chiesto aiuto. ‘Stai attento e guardami bene, io ritornerò', così ha detto".

"Io per lei avevo costruito una rete difensiva – ha raccontato la donna – a 360 gradi. Avevo parlato con i servizi sociali, avevo dimostrato le mie paure e mi è stato risposto che erano infondate, che era un amore infantile. Mia figlia aveva voglia di vivere, voleva fare tante cose: la manicure per il compleanno, Halloween, il viaggio a Parigi. Aveva tanti interessi. Il suicidio è impossibile".

Dopo l'arrivo dei primi, seppur parziali referti, il 15enne non avrebbe saputo giustificare perché la mattina del 25 ottobre avesse con sé un cacciavite. Sulle mani della vittima sono stati rilevati dei segni compatibili con l'aggressione con il cacciavite.

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