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Transessuali usati come “cavie” e resi invalidi: le pesanti accuse contro i medici

Una vicenda dai contorni ancora da chiarire quella che che arriva da Roma, dove i dottori dell’Umberto I di Roma sono accusati di “esperimenti chirurgici degni di Mengele, il dottor morte del regime nazista”.
A cura di B. C.
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 “Esperimenti chirurgici degni di Mengele, il dottor morte del regime nazista”. E’ un’accusa molto pesante quella mossa da Alessandra Gracis, avvocato transgender di Conegliano Veneto, che così ha motivato la sua opposizione alla richiesta di archiviazione del pm nel procedimento in cui difende quattro transessuali, sottoposti a una tecnica sperimentale all'Umberto I di Roma.

Arringa che, come evidenzia Il Messaggero, si è rivelata vincente: ha infatti ottenuto il rinvio a giudizio del primario di chirurgia plastica, della direttrice del laboratorio di biologia e di un chirurgo del famoso ospedale capitolino collegato all’Università Sapienza. “Questi medici – ha commentato Gracis – non solo sono venuti meno al giuramento di Ippocrate, ma anche alla convezione di Helsinki, alle norme sulla sperimentazione dei nuovi farmaci, e hanno agito senza l’autorizzazione del Comitato etico, causando delle lesioni gravissime: i miei assistiti hanno un’invalidità del 40 per cento”, ha affermato l’avvocato.

Le quattro donne transgender sarebbero state operate con una tecnica definita ‘innovativa’, non presente nei protocolli ufficiali di intervento di riassegnazione del sesso. La tecnica prevede tre fasi: nella prima si preleva il tessuto gengivale dalla bocca della paziente, successivamente il materiale biologico viene coltivato in laboratorio, per essere infine innestato per formare il canale della nuova vagina. Una procedure che però avrebbe avuto conseguenze terribili sulle quattro pazienti.

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