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Incidente Funivia Stresa-Mottarone

Tragedia Mottarone, Luigi Nerini interrogato: “Non sapevo dei freni. Tadini disse che era colpa sua”

Luigi Nerini, indagato per il disastro della funivia del Mottarone, ha dichiarato durante l’interrogatorio di non esser mai stato a conoscenza del blocco dei freni disposto da Gabriele Tadini, caposervizio attualmente ai domiciliari. “Se mi avessero detto che la funivia era inagibile, l’avrei fermata” ha detto l’imprenditore.
A cura di Gabriella Mazzeo
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Ha detto di aver scoperto del crollo della cabina numero 3 della funivia del Mottarone dai carabinieri. Lo avrebbe dichiarato durante l'interrogatorio Luigi Nerini, gestore della Stresa-Mottarone indagato per il disastro che ha causato la morte di 14 persone. L'imprenditore ha affermato di non essersi mai occupato di questioni tecniche: secondo quanto riportato dal quotidiano La Stampa, avrebbe detto di non essersi mai interessato nell'atto pratico di manutenzione. Quando il giudice ha insistito per capire come mai un dipendente potesse decidere di bloccare i freni di emergenza sulla linea senza avvisare il titolare della funivia, Nerini ha ribadito che Gabriele Tadini, caposervizio tra gli indagati per il disastro, non gli avrebbe mai detto della pratica adottata. Tadini è l'unico rimasto ai domiciliari dopo aver confermato l'inserimento dei forchettoni per isolare il sistema frenante. 

L'imprenditore sostiene inoltre che se Tadini o Enrico Perocchio (dipendente di Leitner e direttore di esercizio) gli avessero detto delle condizioni di inagibilità della funivia, lui si sarebbe adeguato fermandola per il tempo utile alle riparazioni. "Avrei aspettato, al massimo avrei sollecitato l'assistenza, ma l'avrei fermata". Nerini ha ammesso di essere sempre stato presente sul luogo di lavoro per assistere alle operazioni dei dieci impiegati della funivia. Davanti al giudice ha però continuato a dire di non essere mai stato a conoscenza del blocco dei freni, sostenendo di non aver ricevuto alcun avviso e di non aver visto neppure Tadini all'opera. Ha continuato a difendere la tesi anche davanti alle contestazioni di dipendenti interrogati.

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"Ero il primo ad arrivare e l'ultimo ad andare via, ma stavo sempre nell'ufficio di Carciano. Da qui potevo vedere l'impianto attraverso le telecamere. Vedevo le cabine partire" avrebbe detto l'imprenditore descrivendo il suo lavoro quotidiano sulla funivia del Mottarone. Il giorno dell'incidente, Nerini ha sentito per radio la voce di Tadini che chiedeva di fermare tutto. A quel punto avrebbe chiesto il perché di quella decisione, senza però ottenere risposta. All'interfono gli risponde un dipendente. "Ora ti faccio sapere" gli avrebbe detto prima di riprendere per l'ultima volta la comunicazione. "Sospendi tutto", ha ribadito prima di sparire, senza spiegare perché di quell'ordine. Secondo quanto dichiarato, dopo poco avrebbe raggiunto i clienti in fila chiedendo pazienza a causa "di un guasto tecnico". "Dalla finestra ho visto arrivare i carabinieri – ricorda -. Il maresciallo mi ha chiesto se la funivia fosse caduta e io ho detto che no, non mi risultava. Ho cercato di parlare via radio con gli addetti dall'altra parte e nessuno mi ha risposto. Sono salito in auto verso la vetta, lì dove si era verificato l'incidente. Arrivato in stazione ho visto che mancava la fune traente e ho saputo che la cabina tre era precipitata. Così mi sono incamminato sul sentiero che portava al luogo del disastro. Mio figlio voleva accompagnarmi ma è stato bloccato. Un dipendente mi ha detto "meglio che stia qui e che non veda"".

Arrivato lì dove la cabina era caduta, ha visto Tadini venirgli incontro. "Diceva che era colpa sua e che aveva fatto una stupidaggine. Io però non capivo cosa fosse successo, ho pensato solo alla fune. Ho chiesto come poteva essere successo. Mi sono detto che era impossibile".

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