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Tragedia del Natisone

Tragedia del Natisone, la ricostruzione della dinamica: in trappola in una “prigione” scavata dall’acqua

I tre ragazzi coinvolti nella tragedia del Natisone avrebbero attraversato un sentiero che conduce nei pressi del letto del fiume a piedi e poi, dopo aver attraversato un “ponte” naturale, sarebbero rimasti bloccati in poco tempo su un isolotto scavato dal fiume.
A cura di Gabriella Mazzeo
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Sarebbero finiti in una vera e propria "trappola mortale" Cristian Casian Molnar, Patrizia Cormos e Bianca Doros, i tre amici trascinati via dalla piena del Natisone. Dalle immagini e dai video, infatti, potrebbe sembrare "semplice" la fuga dal luogo in cui i tre si trovavano, ma nella realtà dei fatti sfuggire alla furia dell'acqua era complicatissimo. Chi conosce il posto sa quali sono i pericoli del Natisone, mentre per i tre ragazzi che erano scesi nel greto per qualche foto e per un po' di relax non era così.

Il Messaggero ha effettuato una prima ricostruzione della dinamica della tragedia che ha visto coinvolti i tre 20enni, scesi sulla riva del Natisone probabilmente percorrendo un sentiero di proprietà privata in via Casali Potocco, a Premaricco (in provincia di Udine). A metà strada c'è un casale dal quale parte la via che porta al punto dal quale è possibile ammirare il fiume. L'accesso non è vietato, ma vi sarebbero diversi cartelli che indicano la proprietà privata e che vietano l'accesso ai veicoli a motore, eccezion fatta per quelli dei vigili, per chi ha disabilità, per i motorini e per i mezzi autorizzati.

Patrizia Cormos e Bianca Doros
Patrizia Cormos e Bianca Doros

Un altro cartello indica invece il divieto di balneazione e il pericolo di annegamento. Il sentiero che porta al fiume è abbastanza largo e a un certo punto del cammino, si arriva a un punto da cui a destra si vede la corrente del corso d'acqua. Davanti c'è una piccola cascata dove le persone fanno il bagno, soprattutto d'estate. A sinistra invece vi è una piccola distesa di ghiaia. Sarebbe lì, secondo quanto ricostruito, che si trovavano i tre ragazzi. Questo particolare sarebbe cruciale nella ricostruzione, perché l'acqua li ha sostanzialmente circondati in pochi istanti. 

Stando alla ricostruzione, insomma, i ragazzi dopo aver percorso l'intera strada per raggiungere il fiume, avrebbero camminato sulla cosiddetta "passerella" che collega la piccola cascata all'isolotto di ghiaia dove poi sarebbero rimasti bloccati.

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Una volta raggiunto l'isolotto, l'acqua ha iniziato a crescere raggiungendo i 135 metri cubi al secondo alle 13.35. Secondo quanto appreso, non si sarebbero allontanati subito anche se la situazione, seppur pericolosa, avrebbe permesso loro di tornare a riva.

I ragazzi non si sarebbero accorti del pericolo mentre erano con il viso rivolto al Ponte Romano. Il tutto si sarebbe svolto in pochi minuti e per questo motivo per i ragazzi sarebbe stato impossibile rendersi conto della piena in corso.

In poco tempo, i ragazzi si sarebbero trovati chiusi in una "prigione" scavata dall'acqua che ha iniziato a scorrere tra la ghiaia e la vegetazione, creando così un piccolo canyon. A quel punto i tre ragazzi avrebbero chiamato i soccorsi, senza però provare a scappare anche a causa della paura di nuotare.

Una delle ragazze, infatti, non avrebbe saputo attraversare l'acqua e questo avrebbe bloccato anche gli altri due giovani. Un passante, uno dei primi a lanciare l'allarme, li ha descritti come pietrificati perché la via da cui erano arrivati si era già riempita d'acqua. In tanti avrebbero provato ad aiutarli: prima i due operai che hanno parlato con loro e poi il vigile del fuoco che si era tuffato in acqua nel tentativo di portarli a riva senza successo.

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