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Torture perché mentisse: la verità censurata su Borsellino

Repubblica entra in possesso di uno stralcio di video del 1995 nel quale il falso pentito Vincenzo Scarantino denunciava come fosse stato costretto a dichiarare di aver organizzato l’attentato a Borsellino. La procura di Caltanissetta ordinò la soppressione di quell’intervista, da lì 15 anni di silenzio prima di conoscere la verità.
A cura di Andrea Parrella
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Prima che Gaspare Spatuzza sparigliasse le carte, qualche anno fa, l'unica verità nota in merito alla strage di via D'Amelio era quella raccontata, e ritenuta attendibile, da Vincenzo Scarantino, falso pentito di mafia che a quasi tre anni dalla strage venne condannato a 18 anni di carcere per aver confessato di essere stato organizzatore dell'attentato. Tirò in ballo 7 persone innocenti, che invece pagarono con l'ergastolo quella falsa testimonianza. Sono tutte verità note, oggi, che però nel 1995 furono scoperchiate da una semplice intervista di Studio Aperto ad opera del giornalista Angelo Mangano. Il video di quell'intervista venne prontamente sequestrato in seguito ad un'ordinanza della procura di Caltanissetta, che obbligò a distruggere quella ed altre possibili registrazioni, nelle quali Scarantino avrebbe confessato si trattasse di una montatura. Evidentemente non tutto di quell'intervista è andato perso, visto che oggi Repubblica afferma di ritrovarsi uno stralcio, solo tre minuti, di quelle dichiarazioni, che tuttavia dicono quasi tutto. Evidentemente al tempo non si doveva sapere nulla di ciò che oggi sappiamo ampiamente, ovvero che Scarantino non aveva nulla a che fare con l'uccisione di Paolo Borsellino.

A motivare il falso pentimento di Scarantino fu principalmente il trattamento che subiva nel carcere di Pianosa, dove subiva pesanti torture da parte degli agenti, di cui faceva anche i nomi nell'intervista del 27 luglio 1995: ad esempio quello di Arnaldo Di Barbera, capo della squadra mobile di Palermo: "A me a Pianosa mi fanno urinare sangue. A me facevano delle punture di penicillina, mi stavano facendo morire a Pianosa… ma voglio tornare in carcere… mi fanno morire in carcere, però morirò con la coscienza a posto". Erano queste le parole sostanziali di Scarantino, contenute nell'intervista soppressa. Il giornalista Angelo Mangano racconta di quell'incontro come di qualcosa nato all'improvviso, in maniera del tutto casuale: "La mattina del 26 luglio 1995 si era avuta notizia da ambienti giudiziari di una ritrattazione di Scarantino, decisi dunque di andare a casa della madre, alla Guadagna. La signora mi fece sentire una registrazione in cui il figlio ritirava le accuse, una registrazione che si sentiva male. Diedi allora il mio numero alla signora, e neanche un'ora dopo fu Vincenzo Scarantino a chiamarmi". 

Un documento che sarebbe stato determinante ai fini della riapertura di un'indagine che pareva chiusa, se non altro perché un colpevole era stato trovato (c'era urgente bisogno di trovarne uno, anche forse a discapito della possibilità di trovare quello vero). Per quindici anni la verità è stata completamente insabbiata, dirottata su una falsa pista, poi smentita solo dalle dichiarazioni di Spatuzza, nel 2010, secondo le quali fu invece lui ad organizzare in toto l'attentato a Borsellino.

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