Tornare a casa da sole non è sicuro per le donne: “Tutte capiamo cosa vuol dire ‘Scrivi quando sei arrivata’”

"Tutto è nato quando ho saputo della morte di Sarah Everard, rapita, stuprata e uccisa da un poliziotto a Londra alle 9 di sera mentre tornava a casa. Come psicologa clinica mi occupavo già di violenza domestica, però in quel momento mi sono resa conto della questione della sicurezza in strada, della paura, dei rischi, del fatto che a volte si arriva anche al femminicidio".
A parlare a Fanpage.it è Laura De Dilectis, fondatrice di Donnexstrada, associazione che si occupa di contrasto e sensibilizzazione sulla violenza di genere e che nei suoi quattro anni di attività ha provato a trovare "soluzioni concrete" e fornire strumenti per far fronte a un problema di cui si continua a discutere tanto, quello della sicurezza in strada per le donne.
Secondo un'indagine di Eumetra, realizzata nel 2024 per conto di Telefono donna Italia intervistando oltre 800 giovani tra i 16-25 anni, il 66% delle ragazze "mette in atto accorgimenti tornando a casa alla sera" (solo il 22% tra i ragazzi), il 62% "evita di prendere i mezzi pubblici oltre una certa ora" (il 17% i ragazzi), il 61% sceglie "un abbigliamento discreto".
"La morte di Everard mi ha davvero aperto gli occhi sul problema, che è diventato ancora più evidente quando, dopo una call to action, ho ricevuto tantissimi messaggi. Quello della sicurezza in strada è un problema sentito da tutte le donne ma che prima non veniva espresso, forse perché normalizzato, e non affrontato da Stato e mass media".
In questi quattro anni di attività, quali sono i progetti che avete realizzato?
Da un lato, abbiamo cercato di offrire uno spazio sicuro con l'associazione Donnexstrada e con sportelli a prezzi calmierati per il supporto legale, psicologico, ginecologico e nutrizionale, per far fronte, in generale, alla violenza di genere.
In più, cerchiamo di fornire un primo aiuto tramite la nostra rete di ascolto sui social, in particolare su Instagram, dove ci arrivano più di 40 messaggi al giorno e con il progetto dei Punti Viola che oggi sono centinaia su tutto il territorio nazionale.
Per questo progetto siamo partite dal fatto che le donne spesso hanno difficoltà a rivolgersi a un centro antiviolenza, ma riescono invece a confidarsi con il parrucchiere o il barista di fiducia. Persone che spesso non sanno come rispondere e reagire di fronte a determinate situazioni.
Ma dato che queste sono problematiche della nostra società, stiamo cercando di dare strumenti al personale di questi locali con lo scopo poi di reindirizzare le donne, nei casi specifici, al pronto soccorso, alle forze dell'ordine o a un centro antiviolenza. Non ci sostituiamo a loro ma facciamo da intermediari.
Tre anni fa è nata anche un'applicazione, VIOLA (sviluppata da startup di cui De Dilectis è CEO, ndr). Attraverso l'app donne e soggetti in difficoltà possono parlare in videochiamata durante il rientro a casa o in occasione di situazioni ritenute da loro di pericolo.
Hai un ricordo particolare della vostra attività?
In questi quattro anni abbiamo aiutato tantissime persone, non abbiamo fatto un conto. Prima con le live su Instagram, poi con Viola siamo riuscite a evitare diverse aggressioni.
Una volta una ragazza era in macchina con un conoscente che, invece di accompagnarla a casa, la stava portando da tutt'altra parte. Lei ci ha videochiamato, è scesa dalla macchina e l'abbiamo riaccompagnata a casa.
Mi viene in mente anche un altro episodio, quando una ragazza ci ha chiamato perché non riusciva ad attraversare un sottopassaggio. Erano pochi metri ma aveva molta paura. Ci ha videochiamato e, mentre era al telefono con noi, è riuscita farlo. Dopo, per il sollievo, si è messa a piangere.
Cosa si può fare di più per risolvere il problema?
Se pensiamo al catcalling, a quanto fino a pochi anni fa si diceva che era un complimento, lo dicevano le stesse donne, capiamo fino a che punto il sistema patriarcale sia radicato. Ci vuole tempo e non è una cosa banale da dire.
Sicuramente, bisogna ascoltare le donne, non mettere in discussione quello che dicono. È un approccio che bisogna utilizzare in ogni contesto, è necessario ascoltare le persone.
L'uomo a volte non capisce perché non vive le stesse cose. Ovviamente, anche gli uomini ci contattano e dicono: ‘Pure noi abbiano paura', ma la grossa differenza è che fra donne tutte ci capiamo quando diciamo: ‘Scrivimi quando arrivi a casa'.
In questo senso, invece, gli uomini cascano un po' dal pero e lo leggiamo nei commenti che ci lasciano sotto i nostri post. ‘Non ero assolutamente consapevole del fatto che viveste in questo modo le strade', ci hanno scritto spesso. Per questo serve dialogo, immedesimazione, empatia, non una comunicazione sterile e superficiale.
Oggi c'è sicuramente maggiore sensibilità, anche se ci sono ancora molti ostacoli.
Sì, spesso non ci sono i fatti perché un conto è parlare, un altro è fare. Diciamo che ci sono le buone intenzioni, ma quando si fermano alla panchina inaugurata dal Comune o alla singola iniziativa per l'8 marzo, parliamo del nulla. Bisogna intervenire in modo sistemico.
A livello governativo serve un tavolo di lavoro fra tutti i Ministeri, Trasporti, Salute, Pari Opportunità e Famiglia, Interni. La Commissione femminicidio ha fatto un ottimo lavoro e consegnato un dossier completo, ma quello poi va messo in pratica.
E questo significa metterci impegno e porsi degli obiettivi. Non si può relegare tutto solo alle attività di volontariato, a quelle cose che possiamo definire "straordinarie", non bastano.
La lotta alla violenza di genere una cosa che richiede piena professionalità e struttura. Spesso c'è ignoranza anche nelle istituzioni, non vengono coinvolti i professionisti, ma persone che non sanno di cosa parlano.
Chi deve intervenire, per esempio, da un punto di vista legislativo, spesso non è professionalmente adatto e non ha gli strumenti, con il rischio di prendere decisioni non adatte e superficiali.