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Torino, ricercatrice universitaria licenziata dopo 15 anni da precaria: “Stop ai fondi”

La storia di Laura, nome di fantasia utilizzato da una ricercatrice 40enne costretta, dopo 15 anni da precaria, a lasciare il suo posto di lavoro all’Università di Torino perché sono finiti i fondi: “Mi trovavo nella situazione assurda per cui io e il mio collega di scrivania facevamo lo stesso lavoro ma lui aveva tutti i diritti e le tutele e io no”.
A cura di I. A.
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Trovarsi senza un lavoro a 40 anni, dopo che negli ultimi 15 ha dato tutta se stessa nella ricerca come precaria, perché "sono finiti i fondi" Quella di Laura, nome di fantasia, con laurea in biologia presso l'Università di Torino, dove dal 2003 è impegnata a trovare una cura contro il cancro, è soltanto l'ultima storia di una generazione costretta a convivere con una perenne instabilità economica e occupazionale. La sua vicenda, come riporta La Repubblica, è emersa durante uno degli appuntamenti dello sportello, aperto dal Coordinamento dei ricercatori precari dell'Unito in collaborazione con la Flc-Cgil, alimentando il dibattito sulla precarietà di questa categoria di lavoratori.

Il prossimo 28 febbraio sarà il suo ultimo giorno di lavoro all'Università di Torino. "Mi sono sempre occupata di pazienti oncologici e già da specializzanda ho avuto due borse di studio, poi sono arrivati gli assegni di ricerca con cui ho avuto uno stipendio dal 2006 al 2016", ha detto esprimendo la volontà di mantenere il riserbo sulla sua vera identità per evitare di perdere le ultime possibilità di strappare almeno un contratto da segretaria con il dipartimento per cui ha lavorato in questi anni. Gli ultimi 365 giorni sono stati particolarmente difficili perché è stata pagata con delle fatture, emesse all'ospedale come libera professionista dato che il suo capo le ha fatto aprire una partita Iva perché era l'unica chance per continuare a essere pagata. Ma ora non basta più, i fondi sono finiti e dovrà dire addio al suo posto nella ricerca per il quale ha tanto studiato.

Un problema, questo, comune a molti. "Negli ospedali dove c'è un sistema misto tra Aziende sanitarie e atenei c'è spazio per quelle che sono delle finte partite Iva – ha sottolineato Silvia De Francia, una delle portavoce del Coordinamento –. Quando invece il rapporto di lavoro è solo con i dipartimenti questo è più difficile, ma è chiaro che anche nelle università le forme di contratti precari sono molteplice e sono uno dei problemi che denunciamo da tempo, così come l'assenza di certezze sul percorso per arrivare a una stabilizzazione". Anche perché l'unico modo di normalizzare queste figure sarebbe lanciare un bando di concorso, cosa che non avviene da anni, proprio come nel caso di Laura, che prima di lasciare il suo impiego dovrà anche fare un passaggio di consegne con una collega più giovane.

"Mi sto guardando intorno – ha detto -, sto cercando di capire se ci sono imprese che possono essere interessate alle mie competenze. Sto valutando anche l'opzione di insegnare alle superiori, ma dovrei fare degli esami aggiuntivi per partecipare ai concorsi ed entrare nelle graduatorie. Non avrei mai pensato che alla mia età avrei dovuto cambiare lavoro". E lancia un appello alle istituzioni regionali: "Bisogna dire basta a queste forme di precariato. Non possono andare avanti più di due o tre anni. Io mi trovavo nella situazione assurda per cui io e il mio collega di scrivania facevamo lo stesso lavoro ma lui aveva tutti i diritti e le tutele e io no. Tanto che ora mi sono ritrovata senza lavoro".

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