Torino, prof vittima di revenge porn, condannata la preside: “Volevo solo far tacere le malelingue”
TORINO – L'aveva costretta e dimettersi e per questo è stata condannata a 13 mesi di reclusione per l'accusa di violenza privata e diffamazione. La vicenda riguarda la preside di un asilo nido in provincia di Torino che fece dimettere un'insegnante dopo che l'ex fidanzato inviò in un gruppo di amici del calcetto su Whatsapp, alcune foto che la ritraevano in abiti succinti. Condannata anche la madre di un'alunna che inoltrò gli scatti ad alcune amiche e un'ex collega per lo stesso motivo. Assolto un amico dell'ex che aveva inviato le foto alla moglie.
«Sono soddisfatta. La verità è uscita fuori, anche se dopo anni – ha detto la maestra a La Stampa – . Una storia raccontata male? No, semmai è stata raccontata in maniera meno forte di quanto ho vissuto. Nessuno mi ha mai chiesto scusa, ma ora delle scuse non saprei cosa farmene. Vorrei solo tornare a insegnare. Questo è il mio sogno, ma per ora nessuno mi ha contattata». E i suoi avvocati Domenico Fragapane e Dario Cutaia aggiungono: «Questa sentenza è importante: dimostra che nessuno, soprattutto le donne, dev'essere giudicato per ciò che fanno in camera da letto ma per la propria competenza e professionalità. Non siamo più nell'ottocento, non c'è nessuna lettera scarlatta».
La vicenda risale al 2018, in paese si scatenarono dicerie, malignità, pettegolezzi. La preside, difesa dall'avvocato Valentina Zancan, accusata di violenza privata e diffamazione, avrebbe anche e convinto le altre insegnanti a trovare un pretesto per poterla allontanare.
«Se tornassi indietro – dice la preside a La Stampa – agirei in un altro modo. È ovvio, dopo tutto quello che è successo. Il mondo, purtroppo, funziona così. Il ruolo dell’insegnante, nell’immaginario collettivo, è tra la fatina di Cenerentola e una suora. Deve dare il buon esempio. È ovvio che ciascuno di noi ha una vita sessuale, ma la nostra società è piena di tabù. E non è colpa mia. Guardi che a me non è mai importato nulla della vita privata delle persone. Il problema è stato quando le famiglie sono venute a lamentarsi. Io volevo solo mettere a tacere le voci. Più si parlava di questa situazione e peggio era per me e per il mio asilo, dove una retta in meno significava molto. C’era da salvare il buon nome dell’asilo. Mentre la maestra rimaneva stritolata tra malignità e giudizi morali. E poco importava che in questa vicenda fosse una vittima. Se si fosse trattato di mia figlia? L’avrei tutelata. Alla ragazza avevo consigliato di prendersi un periodo di ferie. In tre mesi le persone dimenticano tutto».