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Torino, morto di Covid in una casa di riposo: mezzo milione di euro di risarcimento alla famiglia

Nel 2020 un casa di riposo dell’alto Canvese non ha curato adeguatamente un 82enne, deceduto dopo l’infezione da Covid-19, e non ha rispettato i protocolli in vigore durante la pandemia. Per questo il Tribunale di Padova ha condannato la struttura a liquidare la famiglia per danni parentali.
A cura di Giovanni Turi
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Una Rsa dell'alto Canavese (Torino) risarcisce di oltre mezzo milione di euro la famiglia di una vittima da Covid-19
Una Rsa dell'alto Canavese (Torino) risarcisce di oltre mezzo milione di euro la famiglia di una vittima da Covid-19

Nel 2020 è morto per Covid-19 in una Rsa dell'alto Canavese, in provincia di Torino. Venerdì 27 settembre il Tribunale di Padova ha condannato la struttura a risarcire la moglie e il figlio della vittima per oltre mezzo milione di euro. Dopo tre anni di istruttoria segnati da testimonianze e consulenze tecniche, il giudice Roberto Beghini ha stabilito che non è stato impedito l'ingresso del virus nei locali della residenza sanitaria assistenziale, gestita da una società di Padova. E che esiste una diretta riconducibilità causale dell'infezione alle prestazioni rese al suo interno.

La vittima era un uomo di 82 anni di Caluso (Torino). Il 17 novembre 2020 il paziente era stato contagiato ed è risultato positivo al tampone molecolare il 20 novembre. Per oltre 58 ore né il personale infermieristico né i medici (con possibile presa in carico ospedaliera) l'hanno esaminato. Nella sentenza il giudice riporta che fosse un paziente fragile, incapace di riferire sul proprio stato di salute, e che i sanitari hanno avuto un atteggiamento di assistenza e cura segnato da margini di negligenza nei suoi confronti.

Nel mettere insieme tutti i pezzi, è stato osservato che nessuno aveva pensato di trasferire l'uomo in ospedale. Dopo otto giorni di infezione, l'uomo aveva ancora febbre e difficoltà respiratorie, sebbene nei giorni precedenti la cartella clinica non riportasse alcuna criticità. A quel punto, "il paziente – si legge ancora sulla sentenza – è stato lasciato senza assistenza né cure per dieci ore, fino alla constatazione del decesso avvenuto il 26 novembre, alle 3.30 del mattino".

Da uno studio a supporto del testo, questa gestione ha contribuito a ridurre le possibilità di sopravvivenza del paziente del 25%. Tra le cause non c'è solo la gestione, considerata "superficiale", dello stato di salute dell'anziano da parte dei sanitari della struttura, ma anche il fatto che il Covid-19 dentro la struttura, che non avrebbe rispettato le linee guida nazionali e regionali in termini di prevenzione, circolava già dal 15 novembre.

Stando alla ricostruzione del tribunale, non sembrano esser stati eseguiti tamponi dal 15 al 23 novembre 2020. E, addirittura, "due dipendenti su 67 sorvegliati erano risultati positivi al tampone rapido nell'intervallo tra il 9 e il 15 novembre, e probabilmente gli stessi furono poi confermati positivi con tampone molecolare".

Tre anni di dibattimenti hanno portato alla condanna della casa di riposo a un maxi risarcimento dei familiari. Assistiti dall’avvocato Giacomo Vassia, la vedova dell'anziano ha ottenuto quasi 260mila euro, mentre il figlio una cifra di circa 252mila euro. Una somma di rilievo che riconosce il danno parentale.

Durante il processo, comunque, i legali della struttura hanno difeso il suo operato, sostenendo che il contagio da Covid-19 fosse parte di un focolaio che aveva colpito diversi ospiti. La compagnia assicurativa della rsa ha poi cercato di ridurre il risarcimento, sostenendo che fosse un sinistro "in serie". Ma i giudici hanno respinto la tesi, rimarcando l'assenza di prove sufficienti che fossero state adottate le misure necessarie per contenere il contagio.

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