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Togliete la cittadinanza italiana ai turisti razzisti di Venezia

Le urla di scherno e le frasi razziste mentre Pateh Sabally, cambiano 22enne, affoga a Venezia non appartengono alla nostra cultura e nemmeno alla nostra Costituzione. Ecco perché sono quelli a non essere italiani.
A cura di Giulio Cavalli
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Se davvero essere cittadino italiano significa "rispettare le nostre regole e la nostra cultura" come ci sentiamo ripetere da anni da qualche leader pressappochista che soffia sul fuoco del razzismo, se davvero "bisogna rispettare la nostra religione" come ripetono ossessivamente i cattolici ferventi solo su Facebook, se davvero "non possiamo accettare che vengano qui con tutto il loro odio", se davvero "devono rispettare la legge" e se davvero esiste una patente di italianità allora a quelle persone che a Venezia, sul Canal Grande, hanno riempito di insulti Pateh Sabally, il ventiduenne gambiano che ha deciso di suicidarsi a Venezia sotto lo sguardo feroce e inumano di chi l'ha visto affossarsi, andrebbe tolta la cittadinanza.

Non sono italiani quelli che hanno urlato «Africa», «Dai che te torni a casa tua», «insemenio», «…eora neghite» ripresi in un video che è la rappresentazione di un cattivismo uscito dai social e diventato carne, realtà, persone. Non sono italiani perché questo è un Paese solidale per Costituzione (quella sventolata e ahimè pochissimo letta), non sono cattolici perché irrispettosi dei dettami del Vangelo (che ascoltano annoiati alla routine della messa domenicale): non sono italiani perché c'è un limite di etica e responsabilità che hanno calpestato.

Pateh Sabally era in Italia con un permesso umanitario: nei suoi documenti c'è scritto e certificato che è scappato da un Paese di orrori per trovare un rifugio. E quel rifugio invece s'è dimostrato una caverna di bile e razzismo scandito dalla voce di qualche becero avvoltoio, qualche leone capace solo di ruggire davanti a un negro che affonda e che ora, probabilmente, cercherà di convincersi che era "solo uno scherzo" o che "non sapeva". Qui da noi funziona così: gli "xenofobi" che pretendono l'accettazione della cultura e delle leggi italiane spesso sono più ignoranti di quelli che arrivano ma pretenderebbero di essere perdonati per questioni di razza.

Probabilmente non ci saranno strascichi giudiziari, in questa storia: la Procura di Venezia ritiene evidente che ritratti di un suicidio e la stupidità non è un reato: istruire un processo per istigazione al suicidio non porterebbe lontano se questi raccontassero "che non sapevano", che "non si erano resi conto della situazione". Questa storia, vedrete, rimarrà incagliata, anche lei, tra gli archivi dei siti e dei giornali e dimenticata. Ancora.

Eppure io non sono concittadino di quelle persone. Non voglio esserlo. Non vedo perché dovrei spartire le responsabilità sociali, i doveri e i diritti con chi ha un terrorismo mellifluo e borghese non troppo diverso dagli odiatori che ci insegnano a odiare. Se davvero il diritto alla cittadinanza diventasse una legge marziale, così come piace a loro, allora questi non sono italiani.

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Autore, attore, scrittore, politicamente attivo. Racconto storie, sul palcoscenico, su carte e su schermo e cerco di tenere allenato il muscolo della curiosità. Collaboro dal 2013 con Fanpage.it, curando le rubriche "Le uova nel paniere" e "L'eroe del giorno" e realizzando il format video "RadioMafiopoli". Quando alcuni mafiosi mi hanno dato dello “scassaminchia” ho deciso di aggiungerlo alle referenze.
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